Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 26 Martedì calendario

Il calcio italiano vive di vecchie glorie. Toni, Pirlo, Buffon... In Serie A ancora giocano (e alla grande) otto campioni del Mondo del 2006

Eppure questa scena l’abbiamo vista già. Toni che si svita l’orecchio. Gilardino che riemerge dall’area piccola con il pugno alzato. Mettiamoci pure Pazzini che corre felice sotto la tribuna. I gol italiani sono come Clint Eastwood. Hanno sempre la stessa faccia. Se poi queste solite facce arrivano tutte insieme, nello stesso giorno, ti fanno venire il sospetto che abbia preso il potere Emmett “Doc” Brown, bontà divina, grande Giove, lo scienziato pazzo di Ritorno al futuro. Peraltro l’esistenza del flusso canalizzatore che porta indietro nel tempo era confermato domenica sera facendosi un giro con il telecomando: Berlusconi che parlava di comunisti a Rai3, il Costanzo Show su Rete4 e Bergomi che commentava il posticipo dell’Inter. Il moto unidirezionale e la rassicurante continuità del tutto.
Del resto, mai come in questa primavera, il calcio italiano si culla nella suggestione dei ragazzi del 2006. Quelli di «andiamo a Berlino», i campioni del mondo. Toni era lì. Gilardino pure. Anche se alla fine fu il Mondiale dei difensori e di Fabio Cannavaro. A Berlino tra un paio di settimane ci torneranno per davvero Buffon e Pirlo. Uno voleva vincere il Pallone d’oro e adesso lo sogna di nuovo. L’altro s’è fatto crescere la barba, ha cambiato squadra, ma gioca come allora, come sempre. Il mondo, imperterrito, scivola in avanti. Il record mondiale dei 100 metri è calato di 19 centesimi. C’era Asafa Powell, è arrivato Usain Bolt. Il nuoto ha cancellato uno alla volta tutti i primati di Laure Manaudou, che era la Stella e adesso fa la mamma. Perfino il ciclismo, sport della longevità come pochi altri, sfigura dinanzi alla serie A. Il Tour de France, licenziato Armstrong, ha trovato otto vincitori diversi in nove anni. Mentre noi siamo qui, con Totti che insegue Piola e con Stramaccioni che insegue Di Natale, nel senso che gli corre dietro per evitare che smetta.
Con la stessa tenerezza con cui si guarderebbe un Commodore 64, guardiamo il nostro calcio vintage per provare a sentirci quelli di una volta. Dieci dei campioni del mondo di Lippi giocano ancora, considerando pure il Materazzi d’India e il Del Piero tecnicamente svincolato. Otto dei dieci navigano in serie A, il torneo d’Europa con l’età media più alta. Giusto per capirsi: i francesi, avversari in finale a Berlino, in serie A ne hanno soltanto due. Malouda al Metz e Ribéry in Germania, al Bayern. Fra i cento cannonieri più grandi della storia ne abbiamo sette ancora in attività: Gilardino ha preso Boniperti, Pazzini è entrato nel club di chi ha segnato cento gol. Sensibile alla moda dell’anno, pure Galliani si accoda. Se il meglio è passato, come diceva Flaiano, perché non andare a riprenderselo? In fondo costa solo il prezzo di un biglietto aereo per Madrid, dove provare a convincere Ancelotti che un pretesto per tornare indietro si trova sempre. Lui, l’allenatore di uno scudetto e due Coppe dei Campioni. L’ha fatto l’Inter con Mancini, può farlo il Milan con il suo Carletto. L’Expo della nostalgia.
La stessa Juve si è sintonizzata sulle frequenze del 2006. Ma a modo suo, con ferocia. Si è ripresa la centralità nel calcio italiano. È tornata l’ammiraglia del movimento. Ha scavalcato il buco nero vissuto con Calciopoli e ha ricucito il presente a quel lembo di storia lacerata. Con i gol e con i conti. Ha riportato il fatturato alle cifre antecedenti lo scandalo (e anche più su) e ha rimesso l’orologio dell’albo d’oro indietro di dieci anni. A questa febbre da Generazione 2006 si è felicemente adeguato Tevez, che ai tempi stava passando dal Corinthians al West Ham, ignaro, ma che oggi festeggia tutto il possibile canticchiando il famoso “pooo-popò popopooo-pò” dei White Stripes. I quali a questo punto, con i diritti d’autore e grazie al calcio italiano, hanno messo a posto i nipoti dei nipoti.