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 2015  maggio 26 Martedì calendario

«La prima cosa che faranno i nostri deputati sarà ridursi lo stipendio. E, a partire da questo, scommettere su politiche sociali e di difesa dei cittadini». Parla Pablo Iglesias, il leader di Podemos. Dice che farà accordi solo con chi intende davvero cambiare il Paese: «Cambiamento vuol dire tolleranza zero sulla corruzione e limitare la politica di tagli. Con noi non si possono applicare le politiche di austerità che sono state realizzate fino ad ora»

Pablo Iglesias, siete riusciti a entrare in tutti i parlamenti regionali. Però in nessuno di questi Podemos è la prima forza né la seconda. L’assalto al cielo procede più lentamente di quanto pensavate?
«È vero che il logoramento dei partiti del regime va più lento – dice il leader di Podemos al programma radiofonico Hoy por hoy – però avanza in una maniera molto chiara. Io credo che quella di domenica sia stata una giornata storica e che appena un anno fa nessuno se lo poteva immaginare. Questa primavera è cominciato il cambiamento, e ciò ci dà un grande impulso in vista delle elezioni generali, dove ci troveremo in una posizione tale da poter aspirare alla vittoria. Perciò ci possiamo dire molto soddisfatti. Quel che è successo in Spagna è un fatto storico: si conferma che nei grandi momenti di trasformazione, le grandi città sono l’epicentro del cambiamento».
Qual è la sua analisi sul successo delle piattaforme a cui ha partecipato Podemos nelle grandi città, dove non è sceso in campo con la sua sigla, in contrasto con le regionali? Non è che vi sia andata malissimo, però non raggiungete neppure il secondo posto.
«Come si ricorderà, nell’assemblea di Vistalegre (atto costitutivo del partito, nell’ottobre scorso, ndr) dicemmo chiaramente che alle comunali avremmo puntato sulle candidature di “unità popolare”, e nessuno lo capì. Si disse che fosse una decisione che non aveva alcun senso. Oggi si rivela che quella decisione strategica, inedita nel nostro paese – che una forza politica ben situata nei sondaggi, decida di puntare su un altro tipo di formula per intervenire nelle elezioni municipali – si è dimostrato che fu una scelta azzeccata. Credo che questa avanzata, che si produce tanto nelle grandi città come in alcune comunità autonome, non ha precedenti: il fatto che una forza politica nata da appena un anno si trasformi in una forza determinante in una parte delle regioni, tra l’altro con risultati molto vicini a quelli dei vecchi partiti, è un dato importante. È un qualcosa che non era mai accaduto in questo paese. Insisto, alle elezioni generali la partita è aperta. Anche se è vero che abbiamo ottenuto risultati migliori nelle grandi città, che sono all’avanguardia nel processo di cambiamento».
Che farete ora con i voti che avete ottenuto? Per esempio, scendendo alle situazioni concrete, in regioni come Estremadura e Castiglia La Mancha, la costituzione di un governo dipende dal sostegno di Podemos al Psoe: che succederà?
«Noi abbiamo già dimostrato che stiamo nelle istituzioni per fare cose concrete. La prima cosa che faranno i nostri deputati sarà ridursi lo stipendio. E, a partire da questo, scommettere su politiche sociali e di difesa dei cittadini, fondamentali per avviare qualsiasi dialogo. Speriamo che tutti capiscano qual è il messaggio che hanno dato i cittadini, e si rendano conto che per intendersi con noi non si possono applicare le politiche di austerità che sono state realizzate fino ad ora. Le istituzioni servono per difendere la gente. Partendo da questi presupposti, siamo aperti a dialogare con chiunque».
È disposto a offrire i voti di Podemos se servono al cambiamento?
«Il problema è che il cambiamento si deve concretizzare programmaticamente. Siamo nella fase in cui le parole smettono di essere slogan che appaiono sui manifesti elettorali e si trasformano in politiche so- ciali. Una parola non basta per intendersi con noi. Cambiamento vuol dire tolleranza zero sulla corruzione, scommessa sulla difesa dei diritti sociali e limitare la politica di tagli».
Ha ricevuto telefonate da Mariano Rajoy, Pedro Sánchez, Albert Rivera?
«No, devo dire che non mi ha chiamato nessuno. E del resto neppure io ho il loro telefono. Però, quello che più importa è che ho parlato con Ada Colau e Manuela Carmena, e ho potuto sentire la grande soddisfazione per questo risultato storico a Barcellona e Madrid».
Però, vista la situazione, forse dovreste cominciare a scambiarvi i numeri di telefono. Perché ora comincia in Spagna l’epoca dei patti.
«Se mi date una mano, per me va benissimo. Sarei felice di avere il numero di Rajoy».
È arrivato il tempo dei patti in questo paese?
«È arrivato il tempo del cambiamento. La gente non ha votato per fare dei patti ma per cambiare. Noi siamo coscienti del fatto che dobbiamo intenderci. Però l’abbiamo già detto durante la campagna elettorale e lo ripetiamo: quelli che hanno applicato politiche fallimentari in questo paese, dovranno fare un’inversione di rotta di 180 gradi per potersi intendere con noi. Mi pare che sia questo il messaggio che viene dai cittadini».

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