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 2015  maggio 25 Lunedì calendario

I dieci anni di Claudio Burlando alla guida della Liguria, tra alluvioni, sperperi e rospi

Passi l’ululone dal ventre giallo, un rospo lungo (si fa per dire) cinque centimetri che vive in Liguria, nel parco naturale di Montemarcello-Magra: con i 79.900 euro stanziati nel 2009 dalla giunta di Claudio Burlando non si estinguerà più. Ma perché la regione ha buttato 340mila euro dei liguri, gente assalita da crampi quando afferra il portafogli, per tutelare il gulo gulo (volgarmente detto ghiottone) che vive nelle foreste artiche? O la foca monaca, il bisonte europeo, la lince pandina? Perché investire quasi mezzo milione in uno studio sui cetacei mentre la Liguria frana a ogni temporale? E perché Burlando ha destinato 654mila euro a progetti di «educazione alla mondialità» quando i paesi di montagna mendicano 70mila euro per scavare un pozzo d’acqua potabile?
L’ingegner Claudio Burlando è così, serio e cocciuto. Un comunista di una volta, non per nulla è grande amico di D’Alema. Quando decide una cosa non si ferma. Gli animali vanno salvati? Soldi per bestie di ogni latitudine. Imbocca uno svincolo contromano, come gli capitò una domenica mattina di otto anni fa? Avanti finché non si rese conto che poteva provocare catastrofi (non aveva né patente né carta d’identità, si fece riconoscere con la tessera scaduta di ex parlamentare). Il mandato scade il 29 marzo? Intasca lo stipendio fino all’insediamento del nuovo consiglio, comprese indennità di carica e di viaggio benché giunte o commissioni non si riuniscano più. «Noi vorremmo lavorare – si è giustificato affranto in nome di tutti i 40 consiglieri – ma gli uffici tecnici e legali lo impediscono». Troppo alto il rischio di ricorsi. E così tocca prendere quei 16mila maledetti euro per due mesi di dolce far niente.
A conti fatti, i liguri avrebbero preferito che Burlando fosse stato pagato per non lavorare anche nei precedenti 120 mesi da governatore: almeno non avrebbe fatto danni. Che invece abbondano. Sul Fatto Quotidiano ne ha elencati alcuni Ferruccio Sansa, figlio dell’ex sindaco Adriano su cui il governatore ha scaricato le responsabilità del dissesto idrogeologico. Dunque: Burlando è stato vicesindaco e sindaco di Genova dal 1990 al 1993, anni in cui si contano due alluvioni, e nei due mandati da governatore se ne sono verificate altre quattro. I maligni ricordano pure gli incidenti ferroviari susseguitisi quand’era ministro delle Infrastrutture: caduto il governo (Prodi 1) il buon D’Alema non lo riconfermò. L’autunno scorso, dopo l’alluvione di Genova, Burlando sibilò una frase infelice ai cronisti che lo intervistavano: «Siete una cosa inqualificabile, farete una brutta fine...». Prima di querelarlo, i colleghi toccarono ferro.
Burlando esordì in politica da consigliere comunale Pci nel 1981. Massimo Cacciari l’ha paragonato a Sergio Chiamparino: «Possono essere centomila volte renziani, ma non possono rappresentare il cambiamento». Sergio Cofferati ha scandito che «il suo modello è un ciclo che si chiude, gestito con rapporti non più riproducibili tra la finanza e la comunità». Il governatore ha varato un piano casa definito dai Verdi «il più devastante d’Italia». La sua maggioranza in regione ha fatto costruire un porto turistico da mille posti barca alla foce del Magra da una società controllata da Mps nel cui cda sedeva il tesoriere della sua campagna elettorale.
Mentre la Regione Liguria metteva in bilancio 5 milioni per lo scolmatore del torrente Fereggiano, la giunta Burlando ne stanziava 1,6 per la pubblicità istituzionale e altri 2 per il Giro d’Italia. Assessore alla Protezione civile era Raffaella Paita, fedelissima del governatore, la quale ha vinto le primarie con una votazione che ha indotto Sergio Cofferati, il grande sconfitto, a stracciare la tessera Pd e far candidare il deputato Luca Pastorino. Che ora toglie il sonno a Matteo Renzi perché i voti da lui sottratti al Pd regalano ottime possibilità all’avversario azzurro, Giovanni Toti.
E non parliamo delle inchieste che hanno falcidiato la maggioranza. Burlando stesso è indagato dalla procura di Savona nell’inchiesta sull’inquinamento della centrale a carbone a Vado Ligure della Tirreno Power, società che per anni ha gravitato nell’orbita finanziaria della famiglia De Benedetti. L’accusa è di concorso in disastro ambientale doloso: i fumi dell’impianto avrebbero causato 400 morti. Con lui sono indagati anche gli assessori alla Sanità, Claudio Montaldo, e alle Attività produttive, Renzo Guccinelli, oltre all’eurodeputata Renata Briano, ex assessore all’Ambiente, e una quarantina di persone tra cui due sindaci, funzionari della regione e dirigenti dell’impianto.
Altri guai gli piovono dall’inchiesta sulle spese pazze della regione. La procura di Genova ha indagato mezzo consiglio, tra cui due assessori, il presidente e il tesoriere del gruppo Pd, mentre un partito della maggioranza, l’Italia dei valori, è stata spazzato via. Ostriche a Nizza, biglietti per le terme, pasticcini a Ferragosto, pranzi «di lavoro» a Natale e Capodanno, e poi tante voci duplicate e la raccolta a tappeto di scontrini altrui per coprire gli ammanchi. Imbarazzo burlandiano anche per l’uso delle carte di credito degli assessori denunciato alla Corte dei conti da una consigliera di minoranza: pernottamenti romani a 4 stelle, cene, vacanze, acquisti in negozi per bambini.
A metà dello scorso aprile, quando i giochi delle primarie Pd erano già fatti, è finita nel registro degli indagati la stessa Raffaella Paita, la candidata fortissimamente voluta da Burlando che pure era stato sconfitto nel congresso regionale. Le accuse sono pesanti: omissione di atti d’ufficio, concorso in disastro colposo, omicidio colposo per la mancata allerta nell’alluvione del novembre 2014. Lei si è detta fiduciosa, Renzi (che altrove ha sollecitato le dimissioni di gente nemmeno indagata, come l’ex ministro Lupi) e Burlando le hanno coperto le spalle e perfino il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, si è chiesto perché «certe indagini esplodono in certe ore». Chissà, magari pure le alluvioni scoppiano a orologeria.