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 2015  maggio 25 Lunedì calendario

Lo show sottotono di Silvio Berlusconi a “Che tempo che fa”. Ieri sera l’intervista con Fabio Fazio ha superato in discesa qualsiasi aspettativa risolvendosi in una stanca conversazione tra due persone che oltretutto di conversare non avevano alcuna voglia, né curiosità, né niente. Niente alta politica, solo servizi sociali, Milan e tanta nostalgia del passato. E tra un «ho una certa età», e un vorrei «riposarmi un po’», l’anagrafe e la vecchiaia hanno bussato alla porta la domenica sera, prima delle elezioni

«Il tempo passa» dice a un certo punto tra il comprensivo e il condiscendente Fabio Fazio, con la barba ormai imbiancata. «Sì, il tempo passa» riconosce Berlusconi, di cui luci impietose restituiscono il pallore, e severe inquadrature la fissità.
Certo, era difficile aspettarsi una corrida, un crash-show, o anche solo un modesto siparietto in grado di rallegrare o almeno alleggerire la domenica sera, ma quel che s’è visto ieri sera a “Che tempo che fa” ha superato in discesa qualsiasi anche prudente aspettativa risolvendosi in una stanca conversazione – e anche un po’ depressiva – tra due persone che oltretutto di conversare non avevano alcuna voglia, né curiosità, né niente.
Per cui ancora una volta la tentazione sarebbe quella di indagare piuttosto sui motivi, gli automatismi, le convenienze, le pigrizie, le compulsioni o le perversioni che spingono i dirigenti televisivi e gli autori di programmi a trascurare il nuovo, che pure forse esiste, e a continuare a infliggere al gentile pubblico non pagante i politici, e poi i politici, e poi ancora i politici, i quali talmente reagiscono alle stesse domande con le stesse risposte che alla fine, a parte Renzi, si scocciano pure loro.
Per cui politica zero. O meglio le solite e desolanti cose: nel caso di Berlusconi, per dire, nemmeno la Pascale che si è fatta il tatuaggio, le minacce dell’Isis a Palazzo Grazioli, i dipendenti di Forza Italia licenziati, la mancata visita al santuario di Padre Pio, la pedana d’inciampo di Genova, l’arrivo di un terzo cane nel cerchio magico o la convention di Lecce che è stata animata da Gegia.
No. Questioni di alta politica: questo chiedono i telespettatori. Così lui, dopo un breve ricordo dell’esperienza dei servizi sociali (ma senza il fantastico numero di come faceva l’aeroplanino per imboccare i degenti di Cesano Boscone) ha potuto riattaccare la solfa perenne dell’ideologia comunista criminale e dell’eterno “Rassemblement” dei moderati, roba nemmeno troppo fresca del 1993, prima della discesa in campo. Ogni tanto Fazio, che certamente si era documentato, però non troppo sulle torrenziali tele-attitudini del soggettone che aveva finalmente dinanzi e che se lo guardava con sussiegosa estraneità, ecco, Fazio cercava invano di arginarne il disco rotto: “Però”, “ma”, “mi scusi!”, “posso?”, fatto sta che quell’altro, imperterrito e mai domo, era già passato alla sospensione della democrazia, alla “non-realizzazione” della rivoluzione liberale e al sostanziale “si stava meglio” quando c’era lui.
I destini del Milan, forse non decisivi per la collettività, e neanche rispetto alle immi- nenti elezioni, sono parsi per un attimo rianimare la noia mortale della risciacquatura dei piatti e della rimasticatura dei bocconcini del potere. Sia Fazio che Berlusconi, entrambi persone di spettacolo, non vedevano l’ora che finisse l’inesorabile tormento, effettivamente conclusosi con l’interrogativo del cuore, se Silvio fosse felice – e anche lì non s’è capito tanto bene se sì, se no, o se magari la domanda era mal posta, e pure nella sede sbagliata.
Così mentre tutto procedeva con scontata e cortese lentezza, sui pieni e sui vuoti dello studio di Rai3, su quelle curiose poltrone astronautiche, su quelle scritte luminose bianche e azzurrine, su quei volti stravisti, su quelle parole troppe volte ascoltate si è depositata una coltre di malinconia, come soltanto il passato riesce a renderla ormai inutile e appiccicosa.
E restano sul taccuino frammenti non sai bene se più tristi o più vani: “Un consiglio da vecchio editore televisivo”, “conosce la mia età”, “ho una certa età”, “ormai fuori dalla politica”, “riposarmi un po’”, “nella vita ho fatto tante cose”, “molto più giovane di me”. Sembrava un po’ la contraffazione o anche la parodia del film di Paolo Sorrentino. L’anagrafe, la vecchiaia che bussa alla porta la domenica sera, prima delle elezioni. Perché il tempo passa, sì, ma non è che uno abbia tanto bisogno di questi intrattenimenti per sentirselo ricordare.