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 2015  maggio 24 Domenica calendario

Cent’anni fa — 24 maggio 1915 — l’Italia entrava in guerra, cioè si schierava con Francia, Regno Unito, Serbia, Belgio e Giappone contro Austria, Germania e Impero Ottomano

Cent’anni fa — 24 maggio 1915 — l’Italia entrava in guerra, cioè si schierava con Francia, Regno Unito, Serbia, Belgio e Giappone contro Austria, Germania e Impero Ottomano. Stiamo parlando della Prima guerra mondiale, detta anche Grande Guerra. Oggi un minuto di silenzio in tutta Italia ricorderà i caduti.

• L’Italia avrebbe potuto evitare di entrare in guerra?
Avrebbe potuto, sì. Gli austriaci, dopo un paio di mesi di trattative, s’erano rassegnati a regalarci il Trentino comprese Gradisca e Cormons e le isole Curzolane compresa Lissa. Poiché avevamo già occupato Valona in Albania, questo ci avrebbe reso padroni dell’Adriatico e infatti in un primo momento Vienna aveva detto di no. Ma poi, il 10 maggio, disse di sì, e aggiunse all’offerta Pelagosa, chiedendo solo che la cessione fosse garantita da una commissione mista guidata dai tedeschi. In cambio avremmo solo dovuto restare neutrali. Gli inglesi invece, promettendo che a vittoria conseguita ci avrebbero dato più o meno gli stessi territori, ci chiedevano di intervenire. Scegliemmo gli inglesi, con conseguenze che è difficile non considerare nefaste: 1,2 milioni di morti alla fine del conflitto (651 mila militari), umiliazioni a non finire al tavolo delle trattative (anche per la nostra superbia cretina), strada aperta al fascismo e a tutto quello che successe dopo. Fossimo rimasti neutrali...

• La Storia non si fa mica con i «se»...
Fino a un certo punto era sembrato che alla Camera la decisione di entrare in guerra non sarebbe passata. A casa di Giolitti, neutralista convinto, 320 deputati, cioè la maggioranza, avevano lasciato il loro biglietto da visita in segno di solidarietà. Ma la stampa interventista, e Mussolini sul Popolo d’Italia , e D’Annunzio ogni volta che parlava, attaccavano a testa bassa. Ardengo Soffici scrisse su Lacerba : «La vile canizza giolittiana, l’ignobile, losco, vomitativo Giolitti; gli analfabeti dell’Avanti! ; i preti, i giornalisti venduti [...] la melma fetente universitaria, professorale, filosofica; la ciurmaglia cancrenosa, bavosa, laida del Senato... con che moneta pagheranno prossimamente, quando l’Italia, raggiunti a dispetto della loro vigliaccheria e infamia, i suoi fini di nazione civile e fatta per l’avvenire, troverà il momento di fare i conti con essi?». Il re fece sapere che se la Camera avesse respinto la legge sull’intervento avrebbe abdicato. Così, il 20 maggio, il «Conferimento al Governo del Re di poteri straordinari in caso di guerra» passò con 407 sì e 74 no. Votarono contro solo i socialisti (i comunisti ancora non esistevano). Giolittiani e cattolici erano spariti. Noti che un minimo di galateo diplomatico avrebbe dovuto indurci a stare, casomai, con austriaci e tedeschi: eravamo loro alleati dal 1882 (Triplice Alleanza). Il Patto di Londra, che ci legò all’Intesa, era infatti segretissimo e fu Lenin a renderlo pubblico nel 1917. Niente rappresenta meglio la nostra ambiguità di una battuta pronunciata dal marchese di San Giuliano, in quel momento ministro degli Esteri, l’estate prima, quando eravamo ancora neutrali: «L’ideale per noi sarebbe che fossero battute da una parte l’Austria e dall’altra la Francia».

• A che punto era la guerra in quel momento?
Si combatteva già dappertutto, oltre che nel cuore dell’Europa, al largo del Cile, nel Togo e nel Camerun, dove i tedeschi avevano le loro colonie; l’ingresso della Turchia aveva aperto il fronte in Mesopotamia, i giapponesi avevano invaso la Cina. A Bolimów i tedeschi avevano provato una prima volta i gas, e gli era andata male per via del vento. L’asso francese Roland Garros aveva abbattuto il suo primo aereo. De Gaulle era già stato ferito, e Hitler aveva rinunciato alla cittadinanza austriaca per arruolarsi con i tedeschi.

• Una cronaca di quella prima giornata?
Il nostro primo colpo di cannone partì dal forte che si trova a 2.019 metri d’altezza in cima al monte Verena, sulla linea del confine italiano con il Trentino austriaco. All’alba l’esercito aveva varcato la frontiera sul fiume Isonzo. Gli austriaci bombardarono Ancona e Brindisi, navi dell’Impero vennero a cannoneggiare Ancona, Rimini, Pesaro, Senigallia, Porto Recanati, le Tremiti. Nel suo proclama, Vittorio Emanuele III, disse fra l’altro: «Soldati di terra e di mare! [...] A voi la gloria di piantare il tricolore d’Italia sui termini sacri che la natura pose ai confini dell’Italia nostra. A voi la gloria di compiere, finalmente, l’opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri!». Cioè, quella sarebbe stata, secondo la vulgata dell’epoca, la nostra IV Guerra d’indipendenza. Francesco Giuseppe rispose: «Il Re d’Italia mi ha dichiarato la guerra. Un tradimento di cui la Storia non conosce l’esempio fu consumato dal Regno d’Italia contro i due alleati, dopo un’alleanza di più di trent’anni, durante la quale l’Italia poté aumentare i suoi possessi territoriali e svilupparsi a impensata floridezza. […] Prego l’Onnipotente che benedica le nostre bandiere e prenda la nostra causa sotto la Sua benigna protezione».

• L’Onnipotente punì duramente sia i vinti che i vincitori, mi pare. Il nostro primo caduto?
Un povero ragazzo di Udine, Riccardo Di Giusto, alpino. Un proiettile austriaco lo colpì sul monte Colovrat, nel comune di Drenchia (Udine), alle 4.30 di quel mattino. Aveva 19 anni e mezzo.