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 2015  maggio 05 Martedì calendario

Luca Cordero di Montezemolo parla della Ferrari: «Ho lasciato un’azienda senza debiti e una squadra competitiva». Ammette «Marchionne e Arrivabene sono stati bravi» ma poi aggiunge «Penso sinceramente che abbiano avuto anche un po’ di fortuna»

«Ad agosto, nei pochi giorni di pausa della Formula 1, invitavo sempre Michael e Corinna a casa mia, a Bologna. Venivano con Gina Marie e il piccolo Mick che aveva un anno o forse meno. Le serate erano molto luminose e cenavamo in giardino. In pochi lo sanno, ma Schumacher era, è, ossessionato dalle zanzare. E ricordo che continuava ad alzarsi per correre verso la culla di Mick che dormiva nel punto più fresco del patio e aggiustare la zanzariera. Si alzava anche cento volte a sera. Io e Corinna lo prendevamo in giro e ridevamo di lui. Se penso che adesso quel bambino va sul podio con lo champagne in mano e invece Michael…».
Gli occhi s’inumidiscono. La prima intervista di Formula 1 dal giorno dell’addio alla Ferrari, Luca Montezemolo non poteva non cominciarla da Schumacher. «Michael ed io abbiamo condiviso 12 anni incredibilmente intensi. E oggi quando penso a lui mi viene solo da essergli grato».
E quando pensa alla Ferrari?
«Insieme alla mia famiglia, la Ferrari è la cosa più importante della mia vita. Forse troppo importante».
Non è finita nel migliore dei modi.
«No. Ma non ho nessuna intenzione di fare polemica. Né voglia di intestarmi meriti. Quando vedo la Ferrari vincere, sono felice. E ora, dunque, sono felice. Punto».
Dopo la vittoria della Ferrari di Marchionne e Arrivabene in Malesia, i meriti se li è intestati eccome. “È un risultato che viene da lontano…” Non è stato un po’ inelegante?
«Un po’ sì. Anche se più che d’ineleganza, direi una caduta di stile. Ma gliel’ho detto: la Ferrari per me è troppo importante. In quel momento, avevo davanti agli occhi il prodotto di una bellissima staffetta tra il lavoro che avevamo impostato noi nel 2014 e la razionalizzazione e l’implementazione operata da chi è arrivato nel 2015. Ed ero finalmente in pace con me stesso. A novembre sapevo di aver lasciato un’azienda sana, con più di due miliardi di liquidità in cassa, senza un euro di debito, e che era stata l’elemento chiave per il successo della quotazione di Fca, che porterà a un extra dividendo di due miliardi e sei, il cui 90% andrà alla Fca e il 10% a Piero Ferrari che intascherà 260 milioni. Però avevo il cruccio del 2014. L’unico vero fallimento della mia gestione. Ma sapevo di aver lavorato bene per il 2015. E dunque in quel momento, mentre Vettel tagliava il traguardo per primo a Sepang, ho avuto la conferma che non solo avevo lasciato un’azienda sana, ma anche una squadra competitiva».
Si sta di nuovo prendendo i meriti.
«Assolutamente no. Marchionne e Arrivabene sono stati molto bravi. Bisogna ringraziarli. Penso sinceramente che abbiano avuto anche un po’ di fortuna: quest’anno a parte la Mercedes non hanno altri competitor, la Williams non è migliorata, la Red Bull è implosa (so che Mateschitz sta pensando di vendere, “o convinco l’Audi a entrare – ha detto a un amico comune – o me ne vado”), e la McLaren è in crisi nera… insomma, adesso la Ferrari parte ad ogni gara con il podio in tasca. Ma la fortuna se non la sai sfruttare non serve a niente. Per me quindi è un merito. Come l’intelligenza, che hanno avuto, di non buttare a mare quanto di buono era stato fatto prima di loro. Forse al posto loro non avrei commesso l’imprudenza a dicembre di dire che il 2015 sarebbe stato un calvario, che erano stati fatti errori enormi in preparazione della nuova stagione e che vincere un paio di gare sarebbe stato un miracolo. Ma comunque è acqua passata».
In realtà “la bellissima staffetta” da fuori è sembrata più un regolamento di conti.
«Me ne rendo conto e mi dispiace, si poteva evitare».
Sul campo sono rimasti molti feriti. Stefano Domenicali, ad esempio.
«È un manager di prim’ordine. E non mi stupisce che stia lavorando, lanciatissimo, in un’azienda importante come l’Audi. Provai a trattenerlo pensando che potesse essere una risorsa preziosa per il nostro gruppo. Ma non ci riuscii. Il 2014 fu una Caporetto. Avevamo sbagliato il progetto del motore ibrido. Mentre la Mercedes ci aveva lavorato per almeno due anni, facendo convergere sulla F1 tutta la potenza e il know how di una industria, quella tedesca, che era molto avanti sull’ibrido, noi non capimmo a fondo la portata della rivoluzione. In Bahrein, alla terza gara, io ero sotto shock. Domenicali più di me. Si dimise, gli chiesi di ripensarci, insistette».
E Marco Mattiacci? In fondo in questa
Ferrari c’è molto di suo.
«In realtà Mattiacci aveva proseguito bene il lavoro impostato da Domenicali. A lui imputo di non aver capito l’ambiente, gli umori».
Senza attribuzione di meriti, come se lo spiega questo risorgimento ferrarista.
«Nel gennaio del 2014, da Jerez de la Frontera mi chiama al cellulare Felipe Massa. Aveva appena fatto il primo giro sulla nuova macchina. Presidente è un disastro, mi dice. Non c’è il motore. Un pilota certe cose le sa. Capii che il 2014 era andato. Convocai Domenicali e ci mettemmo subito a lavorare per il 2015. Per il telaio eravamo tranquilli: eravamo tornati a progettare in una galleria del vento nostra, nuova ed efficiente, dopo anni di esilio presso la Toyota. Ci lavorava James Allison uno che in Lotus, con un budget davvero modesto, aveva fatto una macchina fantastica che non consumava mai le gomme, proprio come la Ferrari di oggi».
Il problema era il motore. Cosa avete fatto?
«Abbiamo spostato sulla gestione sportiva un po’ di ingegneri che avevano lavorato a “La Ferrari”, la prima Ferrari da strada, ibrida. Ricordo i litigi con Amedeo Felisa, l’ad, che mi accusava di saccheggiare la parte industriale per quella sportiva. Gli uomini chiave furono l’ingegner Sassi e gli ingegneri Poggio, Marcigliano e Jean Jaq Is. Ancora oggi, Allison continua a ripetere che quello è stato un grande regalo. Già a settembre avevamo recuperato 45 cavalli. Poi quando è saltato Marmorini, che faceva da tappo, c’è stata l’ulteriore crescita».
Si dice che la Ferrari abbia aumentato parecchio il budget per la F1.
«Per quanto ne so io, no. Una delle cose che rimprovero a Domenicali è di non aver mai chiesto extra budget. Mattiacci fu autorizzato a investire sui banchi prova del motore ibrido. Ma nulla di più».
E Arrivabene?
«Non lo so. Ma se conosco Marchionne e la voglia che ha di far vincere la Ferrari, i soldi per Arrivabene non saranno un problema».
Non si pente di aver permesso alla F1 di introdurre questi motori ibridi per i quali non eravate pronti?
«I motori ibridi sono il futuro. Però a ben guardare sì, sarebbe stato meglio opporsi».
Arrivabene sostiene che sia stato Marchionne a portare Vettel a Maranello.
«Il primo a parlare di Vettel in Ferrari fu Schumacher. Era l’estate in cui doveva tornare a correre per sostituire Massa. Mi disse, il pilota perfetto per voi è Seb. Domenicali lo voleva a tutti i costi. E lo portò a casa mia a Bologna. Si presentò con una scatola di cioccolatini svizzeri. Era già un campione del mondo eppure aveva dei modi un po’ impacciati. Fece a tutti un’ottima impressione. Mattiacci ha proseguito il lavoro. Infine quando con Marchionne vedemmo che Alonso era diventato ormai cupo e torvo e manifestava continuamente sfiducia nella squadra decidemmo per il cambio».
È stato un affarone.
«Vettel guadagna certamente meno di quanto aveva chiesto Alonso per il rinnovo. E poi ha aiutato molto Arrivabene, che è un uomo di grande personalità, a imporre un clima nuovo, migliore, positivo».
Tornando per un attimo alla guerra per bande, lei era in corsa per la presidenza della F1 Group, cioè della Formula 1, ma Marchionne si è opposto. Come è finita quella vicenda?
«Non ne ho più saputo nulla. Ma non mi interessa, guardo avanti. E quello che vedo è un F1 che pur rimanendo uno spettacolo straordinario perde quote di mercato. Oggi non c’è nessuno in grado di sostituire Bernie Ecclestone, penso che sia il più bravo e forse l’unico in grado di cambiare le cose, ma penso anche che dovrebbe cominciare a impegnarsi per creare il proprio successore».
Che a questo punto non potrà essere lei, anche grazie a Marchionne.
«Io sono felice così, con le Olimpiadi da portare a Roma e la sfida di Alitalia. In F1 qualche soddisfazione me la sono tolta. Da Lauda e Regazzoni, da Schumacher a Raikkonen, ho vinto 19 titoli mondiali. Tra qualche settimana il mio nome verrà iscritto nell’ automotive hall of fame a fianco a quello di Enzo Ferrari e Giovanni Agnelli. E a chi viene dopo di me lascio un’azienda sana e di nuovo competitiva».