Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 05 Martedì calendario

Dopo la riforma delle Popolari è ora delle Bad Bank. Renzi a Piazza Affari ufficializza la nascita dell’ente dove collocare tutte le sofferenze degli istituti italiani

La bad bank, finalmente, si avvicina. Ad annunciarlo è stato Matteo Renzi in persona, in visita ieri per la prima volta a Piazza Affari. «Nelle prossime settimane – ha detto il premier davanti alla platea di imprenditori e banchieri – troveranno corso e concretizzazione i passaggi sulle sofferenze bancarie e sugli strumenti tesi a mettere il sistema bancario nelle stesse condizioni degli altri Paesi europei». La Borsa ha registrato con favore la novità, peraltro attesa da tempo. Anche se Renzi, per la verità, è stato parco di particolari.
«Stiamo negoziando con la Commissione Europea alcune ipotesi di intervento. Per noi è una priorità assoluta. Il passaggio successivo sarà portare i sistema regolatorio delle banche, soprattutto su crediti e sofferenze, sempre più vicino alla legislazione europea».
A proposito di Europa, anche stavolta per l’Italia le cose a Bruxelles non sono state facili. E non a caso il premier si dilunga sulla mentalità che anima i nostri funzionari che lavorano nelle varie istituzioni. «Tanti italiani che lavorano nelle strutture internazionali, specie a livello medio – precisa il premier – si sono convinti che a parlar male dell’Italia si fa carriera». Ma non sono certo gli eurocrati i principali bersagli del premier. Reni parla davanti ad una bella fetta del gotha del potere finanziario italiano oltre che ad una schiera di piccole e medie imprese che partecipano al programma Elite della Borsa italiana (il tirocinio per le future matricole). In platea ci sono banchieri come Federico Ghizzoni, Gian Mario Gros-Pietro e la coppia di Monte Paschi, Alessandro Profumo e Frabrizio Viola, il presidente di Telecom Italia, Giuseppe Recchi, il finanziere Claudio Costamagna, Massimo Moratti e Marco Tronchetti Provera. Ci sono Rodolfo e Marco De Benedetti e spunta pure Lapo Elkann, qui nelle vesti di presidente di Italia Indipendent, la sua griffe degli occhiali a tutto look.
È a loro che il premier dedica la critica del capitalismo dei salotti che proprio qui ha celebrato i suoi fasti passati. «Basta con il capitalismo di relazione che ha prodotto degli effetti negativi – ammonisce – Bisogna mettere fine a un sistema basato sulle relazioni più che sulla trasparenza e sul rapporto con il mondo che sta fuori, che chiede più dinamismo e trasparenza». E ancora: «Quel sistema di relazioni in cui giornali, banche, fondazioni e partiti politici hanno pensato di andare avanti tutti insieme discutendo tra loro è morto». Troppo comodo, insomma, prendersela solo con la politica: «In Italia esiste un problema di classe dirigente, non solo di politica». «Sia ben chiaro – incalza Renzi – tutto ciò che rappresenta un incentivo a investire è una priorità assoluta». Ad aiutare il cambio di passo ci penserà un’altra riforma che «farà molto parlare nei prossimi mesi: quella dei fondi pensione che in Italia sono numerosissimi e spesso piccoli, in molti casi hanno un grado di investimento nel nostro paese che è fra i più bassi a livello europeo, e forse a livello mondiale». Una riforma, insomma, alla giapponese che spinga i fondi a comprare azioni o altra “carta” italiana. Peccato che le buone intenzioni e le dichiarazioni anti -tasse si scontrino con la dura realtà di una pressione fiscale che, al di là dei proclami e delle buone intenzioni, continua a crescere: tra il 2013 e 2014 il carico fiscale è aumentato del +0,4%, toccando il livello record del 48,2% rispetto al costo del lavoro. Ovvero, rivela il centro studi Impresa Lavoro, quasi metà di quanto gli imprenditori pagano per le buste paga se ne va in tasse e contributi. Un triste record, visto che l’Italia è l’unico grande Paese europeo che registra una crescita consistente del cuneo fiscale, invece in calo a Parigi (-0,4%) e Londra (-0,3%) mentre resta invariato in Germania (+0,1%) e Spagna (0,1%).