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 2015  maggio 05 Martedì calendario

Tra le spese pazze di una consigliera emiliana spunta pure un vibratore. Ma tra i 904mila euro di scontrini scandagliati dai magistrati ci sono investimenti in cene, feste, regali personali, oltre ai soliti scontrini per il wc. In 15 rischiano il processo

Non piace al deputato Pd, Matteo Richetti, finire nel «calderone» dei piddini chiamati alla sbarra per le Spese Pazze della Regione Emilia Romgana. E invece c’è anche la faccia del 40enne modenese renziano della prim’ora, che oggi si indigna su Facebook, tra i 16 ex consiglieri regionali Pd per cui la procura di Bologna ha chiesto il rinvio a giudizio in merito alle spese «allegre» a cui un po’ tutti i gruppi consiliari della Regione si sarebbero dedicati tra il giugno del 2010 e il dicembre del 2011. Come non ricordare gli accurati rendiconti che gli eletti consegnavano scrupolosamente all’ente per chiedere il rimborso e che contenevano, oltre alle spese di rappresentanza, investimenti in cene, feste, regali personali, oltre a più prosaici scontrini per il wc e persino per l’acquisto di un sex toy, finito nell’elenco spese di una consigliera. I membri del gruppo Pd indagati erano in tutto 18 per una cifra complessiva di 940mila euro, (la più alta tra quelle contestate), le richieste di archiviazione sono state due (Antonio Mumolo e Paola Marani), mentre tutti gli altri finiranno a processo con l’accusa di peculato, compreso il cesenate Damiano Zoffoli, eletto, nel febbraio 2014 in Europa. A Richetti, che fu anche presidente dell’assemblea legislativa, sono contestati rimborsi per 5.000 euro, tra cui due soggiorni in un hotel a Riva del Garda, prenotati per partecipare ai convegni di Enrico Letta. Richetti giustificò le spese spiegando che si trattava di rappresentare la Regione e riguardo la presenza della moglie che lo accompagnava sottolineò che la camera d’albergo l’avrebbe pagata anche fosse stato solo.
Le dichiarazioni, rese spontaneamente lo scorso settembre, non hanno evidentemente convinto i magistrati che lo hanno rinviato a processo. «Per casi assolutamente identici al mio è stata chiesta l’archiviazione», mastica amaro Richetti, e il riferimento è al suo eterno rivale (nella lotta per le attenzioni dell’altro Matteo), Stefano Bonaccini.
Ed, in effetti, per l’attuale presidente della Regione, anche lui inizialmente coinvolto nell’inchiesta, le cose andarono molto diversamente. Allo scoppiare dello scandalo, in piena campagna primarie Pd per la corsa regionale, mentre Richetti fece un passo indietro, Bonaccini decise di proseguire. L’attuale presidente chiese ed ottenne, poi, di farsi interrogare dai pm, poco prima delle elezioni di novembre e se anche fu eletto mentre era ancora in attesa di sentenza, la sua posizione, una volta divenuto governatore, venne archiviata.
Appresa la notizia dell’amara sorte dei compagni, Bonaccini ha invocato una giustizia veloce e, con la mano sinistra, ha rinnovato il suo «pieno e grande rispetto per i magistrati, che devono fare il loro lavoro». Con l’altra, invece, ha firmato, insieme alla sua giunta, qualche tempo fa, il ricorso che la Regione farà (spendendo 20mila euro di avvocato) alla Corte di Cassazione contro il sequestro conservativo da 1,2 milioni di euro disposto, sempre nell’ambito dell’inchiesta Spese Pazze, lo scorso dicembre dalla procura regionale della Corte dei Conti: un provvedimento che dovrebbe bloccare stipendi e prebende dei consiglieri e dei capigruppo coinvolti, e ora rinviati a processo. Secondo il Pd sex toy o no, non spetta allo Stato sindacare «in relazione alle spese dei gruppi consiliari», mentre con i suoi controlli, e soprattutto con il sequestro dei beni, la procura avrebbe «leso l’autonomia del consiglio regionale».