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 2015  maggio 05 Martedì calendario

Per Travaglio bisogna darsi da fare con il referendum: «Se Mattarella metterà la firma e se anche la Consulta si appecoronerà ai piedi del nuovo padrone d’Italia, bisognerà attivarsi per chiedere il parere dei cittadini. E non è detto che questa sia una disgrazia, anzi»

Oggi il mondo della scuola scende in piazza per l’ennesima volta contro l’ennesima controriforma. L’altra sera due insegnanti di scuola media mi hanno fermato dopo un incontro a Bergamo: “Questa riforma dà ai prèsidi il potere di vita o di morte. Glielo dica lei a Renzi: si è mai chiesto che succede se il preside è un coglione o un mascalzone?”. Siccome la filosofia è sempre quella dell’uomo solo (o sòla) al comando, la domanda si attaglia a perfezione anche all’Italicum, approvato ieri dalla Camera più o meno con gli stessi voti del suo padre naturale, il Porcellum: la legge Calderoli dieci anni fa passò a Montecitorio con 323 Sì, quelli del centrodestra; ieri la legge Boschi-Verdini ne ha raccolti 334, appena 11 in più, quelli del centrosinistra (drogati dal decisivo premio di maggioranza incostituzionale del Porcellum).
E se il premier è un coglione o un mascalzone? Gli analfabeti che hanno scritto la legge, ultimo frutto bacato del Nazareno, non si sono neppure posti il problema: come tutti i politicanti da strapazzo, non vedono al di là del proprio naso e non immaginano i danni che può provocare una norma – per sua natura generale e astratta, destinata a durare anni – in futuro, anche quando costoro (almeno si spera) non ci saranno più. Ora non resta che sperare nel presidente Mattarella che – come ha detto a Servizio Pubblico la costituzionalista Lorenza Carlassare – non ha che da leggere la sentenza n.1/2014 della “sua” Consulta sul Porcellum per rispedire alle Camere l’Italicum, che platealmente la tradisce e disattende. Altrimenti, se il Presidente firmerà senza leggere, come il suo predecessore Napolitano, detto la penna più veloce del West, e se anche la Consulta si appecoronerà ai piedi del nuovo padrone d’Italia, bisognerà attivarsi con un referendum abrogativo.
E non è detto che questa sia una disgrazia, anzi: dal comitato referendario potrebbe persino sbocciare – come ai tempi di Segni – una nuova leadership di vera opposizione al renzismo arrembante, accanto alle forze che hanno sempre tenuto la barra dritta (M5S, Sel e FdI) e al posto delle anime morte che se la tirano da oppositori ma non lo sono mai stati. Se l’Italicum è passato in terza lettura è anche grazie alla cosiddetta minoranza del Pd, che solo in extremis e fuori tempo massimo ha trovato il coraggio di votare No, dopo aver votato Sì (o essere uscita dall’aula) le altre due volte.
Ed è soprattutto grazie a Forza Italia, che oggi grida al golpe dopo aver collaborato a scrivere e a votare la porcata nei mesi del Nazareno. Senza dimenticare la Lega Nord, che oggi fa fuoco e fiamme, ma l’estate scorsa prestava al governo il suo Calderoli come co-relatore della controriforma del Senato.
Gabellare il voto di ieri per un mezzo successo, come fa Bersani, noto esperto in “non vittorie”, è ridicolo: se un Parlamento in maggioranza contrario all’Italicum lo approva – pur con margini risicati – la vittoria è di Renzi, non dei suoi avversari veri o presunti. I quali, certo, potranno fargliela pagare al Senato, dove i numeri del premier sono molto più traballanti. Ma questo riguarda i loro giochini di potere, non l’interesse dei cittadini di riprendersi il diritto di scegliersi i parlamentari. Quel diritto è ancora una volta conculcato. Col trucchetto dei capilista bloccati, entreranno a Montecitorio all’insaputa degli elettori il 60,8% dei deputati: 375 nominati su 630 (nei 100 collegi nazionali, se si votasse oggi, passerebbero i 100 capilista del Pd, i 100 del M5S, i 100 di FI, più quelli della Lega nelle regioni del Nord e degli altri partiti che supereranno qua e là la soglia di sbarramento). E questi – se passasse pure la controriforma del Senato – andrebbero ad aggiungersi ai 100 sindaci e consiglieri regionali nominati senatori dalle Regioni. Cioè: nel Parlamento, che elegge i presidenti della Repubblica e parte dei membri della Consulta e del Csm, siederebbero 475 nominati (due terzi) e 242 eletti (un terzo). Il record occidentale di antidemocrazia. Vedremo che ne sarà del nuovo Senato, che com’è noto – se si votasse domani – verrebbe eletto col proporzionale puro disegnato dalla Consulta (l’Italicum vale solo per la Camera): per rimpinzarlo di nominati, Renzi dovrà imporre il suo diktat anche a Palazzo Madama. E lì si parrà la nobilitate della sua cosiddetta minoranza interna, che ha più che mai i numeri per salvarci almeno da quello scempio.
Al momento, comunque, Renzi ha vinto. Ha vinto con i ricatti indecenti, con le fiducie antidemocratiche e con le solite menzogne. “Promessa mantenuta”, ha twittato il premier. Ma quale promessa? E a chi? A noi risulta che avesse promesso l’esatto opposto: “Vogliamo dimezzare subito il numero e le indennità dei parlamentari e sceglierli noi con i voti, non farli decidere a Roma con gli inchini al potente di turno” (18-10-2010). La solita esca per gonzi: quelli che poi lo votarono alle primarie sperando in un vero cambiamento, e ora già alle Regionali si ritrovano in lista un’imbarcata di impresentabili da far paura. “Finalmente, con l’Italicum, la sera delle elezioni si saprà chi governa”, ha salmodiato la Boschi. Poveretta, non sa quel che dice: sono vent’anni che, la sera delle elezioni, si sa chi governa. L’unica eccezione fu l’ultima volta, nel 2013. Ma non per la legge elettorale: per il boom dei 5Stelle, che trasformarono il sistema bipolare in tripolare. E non sono mica spariti, anzi sono di nuovo in crescita. Dunque, specie se alla Camera si voterà con l’Italicum e al Senato con il Consultellum, non si saprà chi governa neppure al prossimo giro. Salvo che Renzi non torni fra le braccia dell’amato Silvio. Che poi è quello che si meritano entrambi. Noi, un po’ meno.