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 2015  maggio 05 Martedì calendario

Italicum, le razioni della minoranza Dem. Civati parla di un «Porcellum con le ali» e fa sapere che «il mio sostegno al governo finisce qui, Bersani dice non uscirà dal Pd ma promette «battaglia per far sentire nel Paese una voce diversa da quella di Renzi», per la Bindi la gravità della situazione sta nel fatto che «la legge elettorale è stata approvata con una maggioranza inferiore ai 400 che sostengono l’esecutivo». Mentre Letta si dice convinto che Martarella firmerà la legge.

«Sono contento, i numeri sono più larghi delle nostre aspettative» respira di sollievo Roberto Speranza, l’ex capogruppo che ha visto le forze della minoranza dura e pura lievitare, da quota 38 della non—fiducia agli «almeno 55» del voto finale. «Un’area del dissenso molto significativa» fa i conti il deputato della Basilicata, tra i protagonisti della rivolta contro Renzi. Un «tesoretto» con il quale, azzarda ridendo Nico Stumpo, la sinistra che resiste al premier potrebbe «mettere su non uno, ma tre nuovi gruppi alla Camera».
Una battuta che serve a sdrammatizzare la sconfitta, perché tra i dissidenti che escono in ordine sparso dall’Aula solo Pippo Civati, che ha bollato l’Italicum come «un Porcellum con le ali», è pronto allo strappo: «Il mio sostegno al governo finisce qui. A giorni andrò nel Misto dove – scherza, ma neanche troppo – troverò quel fascista di Corsaro che è più a sinistra di Renzi». Se Civati prepara l’addio e ironizza su Cuperlo che «fa intelligenza col nemico», i dissidenti che guardano a Speranza, Bersani e Letta restano. E studiano le prossime mosse per costruire l’alternativa al congresso.
Fosse per Rosy Bindi, al Senato la minoranza alzerebbe le barricate: «La legge elettorale è stata approvata con una maggioranza inferiore ai 400 che sostengono il governo, una cosa grave. Io non gli farei passare più nulla...». Pier Luigi Bersani soppesa la fronda: «Il dissenso è stato abbastanza ampio. Cosa fatta, capo ha. Ma il dato politico non è poco rilevante». Per l’ex segretario la scissione non è all’ordine del giorno. «Non esco, ma farò fino in fondo la battaglia per far sentire nel Paese una voce diversa da quella di Renzi», studia da leader Speranza. E assicura che non ci sarà «nessuna scissione», anche perché la nuova legge elettorale non lascia grandi spazi a sinistra. Come dice Ettore Rosato, «non credo vogliano davvero uscire, per ritrovarsi in un partitino del 4%». Ma se i renziani sono convinti che in poche settimane il dissenso «verrà riassorbito», il fronte—del—no progetta la resistenza. L’avamposto della minoranza è Palazzo Madama, dove i ribelli sono una ventina e molto agguerriti.
«Con questa legge elettorale la riforma del Senato deve cambiare e noi ci batteremo perché cambi – si prepara allo scontro Miguel Gotor —. Non parlo di deriva autoritaria, ma tra Italicum e Senato c’è una relazione di sistema che riguarda la qualità della democrazia. Sarà una partita seria e dura, che ci vedrà uniti e non ricattabili». Se Renzi non stringerà un nuovo patto del Nazareno con Berlusconi o un’intesa di ferro con Verdini, venti voti bastano e avanzano per mandare sotto la maggioranza.
Alfredo D’Attorre vuole il congresso subito, dopo le regionali. Ma è una voce isolata. «Non siamo l’opposizione di nessuno e non vogliamo far cadere il governo – tranquillizza Stumpo —. Vogliamo costruire un’area politica dentro al Pd capace di lavorare sul territorio, da qui al congresso, per diventare l’alternativa a Renzi e riportare nel Pd tanti iscritti e votanti che se ne sono andati». I bersaniani si aspettano «forti pressioni» da Renzi per rubare altri pezzi alla minoranza integralista, che ancora si riconosce nel marchio Area riformista. «Non saliremo sul carro», assicura Stumpo. E Gotor: «Da oggi inizia un’altra partita, vivremo una stagione di lotta politica. Ci sarà tempo e modo per fare una riforma del Senato in grado di controbilanciare, con le opportune garanzie, la “dittatura della maggioranza” instaurata dall’Italicum».
Letta ha votato contro poi è filato via, confermando che non si scandalizzerà se Mattarella firmasse la legge. Il dissenso dell’ex premier è nelle parole scandite in Aula dal fedelissimo Marco Meloni: «Voterò contro una legge approvata a colpi di maggioranza, un errore grave».