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 2015  maggio 04 Lunedì calendario

Lite al Prado per i capolavori d Bosch, Goya e Velázquez. Le Collezioni Reali chiedono indietro quattro opere, ma il Museo riplica: «Glieli daremo quando gelerà l’inferno»

Quando José Pedro Pérez-Llorca vide la luce, il 30 novembre del 1940 a Cadice, il Trittico del Giardino delle Delizie di Hieronymus Bosch e i suoi Sette Peccati Capitali erano già lì, al Museo del Prado di Madrid. Dall’anno prima. Ne sono passati 75, e José Pedro Pérez-Llorca è diventato un prestigioso ex ministro, diplomatico, giurista, nonché uno dei sette padri della Costituzione spagnola, redatta nel 1978, dopo la morte di Francisco Franco e la fine della dittatura. E da tre anni è anche il presidente del Patronato del Museo del Prado. Quindi non va preso troppo alla leggera se avverte minaccioso chi vorrebbe «scippargli», pur con qualche legittimità, quelli e altri capolavori: «Glieli daremo quando gelerà l’inferno». 
All’altro angolo del quadrato, José Rodriguez-Spiteri, 70 anni, ex ambasciatore spagnolo in Germania e Portogallo, ex direttore generale degli Affari esteri per l’Europa e l’America settentrionale, nonché attuale presidente del Patrimonio Nacional, l’organismo pubblico che amministra i beni appartenuti alla Corona, non ha alcuna intenzione di aspettare l’arrivo dell’era glaciale nel regno di Lucifero per ottenere la restituzione di quanto fu affidato al Prado poco meno di 80 anni fa, allo scoppio della guerra. 
Attorno al ring, la Spagna, e una parte del resto del mondo, seguono con interesse gli sviluppi dello scontro titanico in corso fra le due istituzioni per il possesso di un paio delle più famose opere di Bosch, oltre che di un Tintoretto ( Il Lavatoio, noto anche come La Lavanda dei Piedi ) e della Deposizione dalla Croce di Rogier van der Weyden. Sono alcuni dei pezzi più importanti esposti nelle gallerie del Prado. Quattro star sufficienti a far pazientare in fila ogni anno oltre due milioni e mezzo di visitatori. Una quota dei quali farebbe molta gola al futuro Museo delle Collezioni Reali, che sarà inaugurato l’anno prossimo e che ha urgente bisogno di opere maestre e di nomi altisonanti. O almeno di un’icona tutta per lui, come sono Las Meninas di Velázquez per il Prado, o il Guernica di Picasso per il Reina Sofia. 
«Ho avuto una pazienza enorme con il Prado» ha stabilito il presidente di Patrimonio Nacional in una recente intervista al quotidiano El Pais, spiegando come ogni sua richiesta e tentativo di negoziato finiscano ormai da mesi per rimbalzare contro un muro di gomma: «Tra le ipotesi d’accordo siamo disposti a considerare la rotazione delle opere». Ma la proposta è caduta nel vuoto: «Privare il Prado di quei dipinti equivarrebbe a commettere un crimine» ha chiuso la questione Pérez-Llorca. 
Mentre la famiglia reale si mantiene neutrale nella disfida per l’eredità degli Asburgo e dei Borboni, il governo conservatore di Mariano Rajoy si è risolutamente schierato con la pinacoteca: «Il Prado non si tocca». Senza con questo riuscire a scoraggiare la controparte: «Se vogliono tenersi i quadri – replica José Rodríguez-Spiteri – devono cambiare le leggi, perché le norme costituzionali sono dalla nostra parte». 
Il nuovo museo, gigantesca appendice del Palazzo Reale, in costruzione accanto all’Almudena al costo di 160 milioni di euro, ha sollevato critiche in una Spagna ancora in affanno per la brutale crisi economica e immobiliare cominciata sette anni fa. Ma dal Patrimonio Nacional obiettano che nella collezione reale ci sono mille pezzi di grande valore che aspettano solo di essere esposti: tappeti, armature, carrozze. Scarseggiano però i dipinti, prestati negli anni a enti, ambasciate, ministeri: «Stiamo recuperando da altri musei quadri di Goya, Velázquez, El Greco» assicura Rodríguez-Spiteri. Alla richiesta di rendere un arazzo di Raphael Mengs, il Museo Nazionale dell’Arte della Catalogna avrebbe semplicemente risposto: quando arriva il camion? Per i Bosch l’attesa sarà un po’ più lunga.