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 2015  maggio 04 Lunedì calendario

Così le madri dei miliziani sfidano l’Isis: «il califfo non avrà i nostri figli». La canadese Christianne Boudreau racconta la sua storia e quella del suo primogenito Damian morto in Siria, ma spiega anche come con le altre mamme cerca di convincere i giovani a non partire o a tornare...

«Perché?». Christianne Boudreau, 45 anni, canadese, di Calgary, da più di un anno vive con un interrogativo che le martella in testa. Suo figlio maggiore Damian è morto in Siria a soli 22 anni e ora un punto di domanda le si stringe intorno al collo, come un cappio che non la fa respirare e le toglie il sonno. 
È il novembre 2012 quando Damian le comunica che ha deciso di lasciare il Canada per andare in Egitto a studiare l’arabo. «A 17 anni aveva avuto un lungo periodo di depressione», racconta Christianne in una lunga conversazione su Skype. Uscito dall’ospedale il ragazzo sembra trovare un po’ di pace nell’Islam, si converte. «Siamo una famiglia cattolica ma lui cercava qualcosa di diverso. Ed io ero felice, perché finalmente lo vedevo stare bene di nuovo». 
Per un po’ le cose sembrano andare bene. Ma ad un certo punto Damian si trasferisce in un’altra parte di Calgary, e cambia moschea, trova un uomo che gli passa dei testi diversi dal Corano e si unisce a un gruppo di giovani. Christianne non immagina che suo figlio stia iniziando a radicalizzarsi. Nel frattempo i telegiornali trasmettono le immagini che arrivano dalla Siria. Persone torturate, uccise, stuprate. E per Damien la responsabilità è del regime di Assad. 
All’inizio del 2013 due agenti del Csis (i servizi canadesi) bussano alla porta della donna. «Mi dissero che stavano tenendo d’occhio Damian da due anni. E che lui aveva passato il confine tra la Siria e la Turchia, dopo aver trascorso un periodo in un campo di addestramento». Il mondo le crolla addosso. Damian non è andato a studiare l’arabo. Prima si è arruolato con Al Nusra, il fronte jihadista vicino ad Al Qaeda. Poi, nell’estate del 2013 è passato con Isis. Da quel momento Christianne trascorre le notti e i giorni seduta al computer nella stanza del figlio guardando i video di guerra su YouTube e cercando invano di scorgere il suo volto, solo per capire se sia vivo. Ogni tanto riesce anche a parlare con lui al telefono. 
«Ero terrorizzata, spesso cadeva la linea per le bombe». Si scambiano messaggi su Facebook. Lei cerca di convincerlo a tornare a casa. Lui risponde che vuole salvare il mondo da Assad. E cerca anche di reclutare la sorella minore di 13 anni. «Una notte, erano le dieci del 14 gennaio 2014, ho ricevuto una telefonata di un giornalista». Su Twitter era comparso un elogio funebre in cui era citato Abu Tahla Al Canadi. 
Abu Tahla è Damian Clairmont. Ed è morto a 22 anni in combattimento ad Hrytan nei sobborghi di Aleppo, sotto la bandiera nera dello Stato Islamico, negli scontri con il Free Syrian Army. 
Oggi Christianne ha deciso di reagire e lottare contro Isis. «Durante tutto il periodo in cui Damian era vivo nessuno mi ha spiegato cosa dovevo dirgli per convincerlo a tornare». Dopo l’attentato di Ottawa il governo canadese ha deciso di seguire la linea dura e ha inasprito le leggi contro il terrorismo. Ma secondo Christianne la strada è un’altra, un network di madri di foreign fighters e ragazzi a rischio. «Un grande ombrello», lo chiama lei. «Mothers for Life» per il momento conta una dozzina di membri in tutto il mondo. Donne che si parlano via chat, via mail. Ad aiutarle anche esperti internazionali di radicalizzazione, come il tedesco Daniel Koehler. «Convincere i figli a tornare indietro è davvero difficile: da un lato sanno che li aspetta la prigione, dall’altro hanno il terrore di disertare per paura di essere giustiziati da Isis», confermano entrambi. Più «facile» allora dissuadere i ragazzi dalla partenza e imparare a riconoscere i segnali. «Nella cultura islamica la figura della madre è centrale, dobbiamo fare leva su questo. Isis usa la religione in modo strumentale per fare breccia nella mente e nel cuore delle persone, noi dobbiamo impedirglielo», conclude Christianne. Cui è rimasta una sola certezza: «Che tutto ciò non ha nulla a che fare con Dio o con Allah».