Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 30 Giovedì calendario

Il linguista Andrea De Benedetti sfatta il mito dell’italiano deturpato, svilito e violentato: «L’errore è un anticorpo naturale alle incoerenze della lingua, una sacrosanta ribellione all’arbitrarietà di certe regole, non una malattia da curare. Può essere segno di un’intelligenza perfettamente in salute». Tuttavia ricorda ai suoi cari, quando morirà, di controllare bene lapide e necrologi: «Perché se sapessi che sulla mia lapide c’è scritto un perchè passerei l’eternità a cercare di correggerlo»

Una vicenda “all’armante”. Così qualche anno fa scriveva (davvero) in un articolo il collaboratore (dottorando in Storia moderna, sic) di un giornale. Alle rimostranze della giornalista che passava il pezzo, rispose: “Ma perché allora non si scrive ‘all’ora’?”. Più che allarmante, tragico. Invece un delizioso pamphlet di Andrea De Benedetti – giornalista, linguista, professore e scrittore torinese – sfata il mito della nostra bellissima lingua svilita, aggredita e deturpata da strafalcioni di varia natura perfino da giornali e tv. La situazione è grammatica, non è grave e nemmeno acuta. La nostra reputazione linguistica è meno compromessa di quanto non si pensi.
Non aspettatevi una noiosa sequenza di regole ed eccezioni (a questa parola è dedicato un esilarante capitolo, Lascia o raddoppia). Ci sono anche aneddoti da foglio a protocollo, ottusi lapis rossi e blu (ma rossoblù, con l’accento): un mondo piccolo di insegnanti barricati nella rassicurante trincea della grammatica normativa, capaci di togliere un punto a un compito in classe per un “lui usato con funzione di soggetto”.
C’è il sadismo della ricerca dell’errore e il compiacimento del trovarlo: asino! Ma – spiega l’autore – peggio di una lingua sciatta e scorretta c’è solo la lingua inodore e geneticamente modificata proposta da certi insegnanti schizzinosi, ossessionati dalla grammatica come lo sono certe mamme dalla pulizia, che quando entri in casa con le scarpe danno una passata con lo straccio anche se non hai lasciato la minima impronta sul pavimento.
Le pattine non sono un antidoto, perché la lingua non si preserva come un reperto archeologico: non per niente distinguiamo tra quelle vive e quelle morte. E comunque, nel capitolo sugli accenti, l’autore approfitta dell’occasione per chiedere a tutti i suoi cari, quando morirà, di controllare bene lapide e necrologi: “Perché ci terrei a non fare brutte figure al mio funerale. E perché se sapessi che sulla mia lapide c’è scritto un perchè passerei l’eternità a cercare di correggerlo”.
Ne La situazione è grammatica vi può capitare d’incontrare eroi dell’infanzia e, insieme a loro, equivoci lessicali mai del tutto abbandonati.
“Quand’ero piccolo, ero convinto che il commissario Basettoni, il poliziotto amico di Topolino, si chiamasse con due esse. Non avevo capito che il nome gli derivava dall’avere due grosse basette, che peraltro all’epoca nemmeno sapevo cosa fossero. Fatto sta che per anni, tra me e me, l’ho chiamato Bassettoni fino a quando una volta un amico dei miei genitori mi lesse una storia di Topolino pronunciandomi per la prima volta il suo vero nome.
“Non si chiama Basettoni, si chiama Bassettoni”, osservai indignato. “No, si chiama Basettoni – replicò – perché ha le basette”. Ed è stato a Topolinia che l’autore, per la prima volta, ha capito uno dei motivi per cui scriviamo male alcune parole: “Perché troppe volte non le leggiamo, ma ci limitiamo a guardarle”. Errare è umano, perseverare diabolico? Purtroppo sapere non sempre salva: chi scrive continua a pensare – nel segreto del fumetto – Bassettoni.
Bisogna anche dire che i linguisti distinguono tra errore e sbaglio: “Se ad esempio scrivi ortogrtafia anziché ortografia si tratterà di una svista, di un lapsus calami, una disattenzione occasionale imputabile al fatto che il tasto della r e quello della t sono confinanti e che può capitare, nella fretta, di digitarli all’unisono. Se invece scrivi eccezzione invece di eccezione stai contravvenendo alla regola in maniera prevedibile e codificata: stai commettendo un errore”.
O più poeticamente, con Cesare Pavese, “fra gli errori ci sono quelli che puzzano di fogna e quelli che odorano di bucato”. Comunque sbagliare è facilissimo: non poche regole ortografiche sono macchinose e controintuitive. Ma soprattutto il percorso tra il pensiero, la lingua e il foglio di carta è tutt’altro che un rettilineo, è una strada in salita piena di tornanti. In curva bisogna accelerare o no? Certamente non accellerare: il verbo deriva dal latino celere, che si scrive con una sola l.
Ma a un certo punto abbiamo cominciato a pronunciare la l come se fosse lunga. A furia di allungarla è capitato che qualcuno abbia cominciato a scrivere accellerare. E l’epidemia si è così tanto estesa che facendo una ricerca su Internet si trovano quasi 400mila occorrenze di accelleratore a fronte del milione risicato di acceleratore.
Ma in queste pagine di errori – che ci parlano perché li facciamo tutti, tutti i giorni – ne incontriamo moltissimi: dall’eccessiva generosità con cui raddoppiamo le consonanti, all’entusiasmo con cui abusiamo della d eufonica. La d eufonica ci euforizza, praticamente è un antidepressivo: scriviamo “ed ancora”, al posto di “e ancora”. La d serve solo per evitare lo scontro con la vocale iniziale della parola seguente, “ed ecco”.
Al netto di tutto questo la buona notizia è: “L’errore rappresenta soprattutto un anticorpo naturale alle incoerenze della lingua, una sacrosanta ribellione all’arbitrarietà di certe regole, e da questo punto di vista, lungi dall’essere una malattia da curare e di cui vergognarsi, può essere segno di un’intelligenza perfettamente in salute”. Ignorantia legis non excusat, però “commettere errori non è una colpa”. Lo diventa “se non fai nulla per evitarli, se l’errore non è un atto in qualche modo creativo ma è il frutto guasto di pigrizia e conformismo”.