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 2015  aprile 30 Giovedì calendario

Intervista a Pierre Moscovici. Il commissario europeo all’Economia dice che non esiste un piano B per l’uscita di Atene dall’euro: «Noi siamo qui per aiutare il popolo greco», ma se si vuole restare nella moneta unica bisogna rispettare regole e impegni «e questo vale per tutti i Paesi». Spiega anche come è cambiato l’orientamento politico dell’Ue e che crescita e lavoro sono i nuovi obiettivi

Non esiste un «piano B» per l’uscita della Grecia dall’euro «perché quando si comincia a parlare di piano B vuol dire che non si crede più nel piano A». Ma la prospettiva di un referendum evocata da Tsipras sull’eventuale intesa con le istituzioni europee non fa paura a Bruxelles «visto che, se si arriva ad un accordo, deve essere soddisfacente per entrambe le parti. Noi siamo qui per aiutare il popolo greco, non per punirlo». In questa intervista a Repubblica e a El Pais, il commissario europeo agli affari economici, Pierre Moscovici, spiega perché «la Grecia deve restare nella moneta unica», ma illustra anche con orgoglio quanto sia cambiata la nuova Commissione di Jean Claude Juncker rispetto a quella di Barroso, elogia le riforme «importanti» del governo italiano, si dice favorevole alla richiesta di Draghi di una maggiore cessione di sovranità economica degli stati nazionali verso l’Europa. E propone un bilancio comune per la zona euro che sia «all’altezza delle sue ambizioni».
Commissario è soddisfatto dell’emarginazione di Yannis Varoufakis, messo sotto processo dai ministri europei?
«La Commissione non fa commenti su vicende personali, e comunque Varoufakis continua ad essere il ministro delle Finanze della Grecia. È un principio basilare della democrazia europea che non siamo noi a scegliere i ministri degli altri Paesi. Comunque il cambiamento dell’equipe di negoziatori greci è benvenuto, perché significa che il primo ministro è impegnato direttamente nel negoziato. Ma la nostra posizione non cambia: vogliamo un documento complessivo da parte di Atene e lo vogliamo in fretta. Il tempo stringe, dobbiamo accelerare».
Vuol dire che la precedente squadra di negoziatori greci ha perso tempo?
«Quel che è stato, è stato. Contano i risultati. E i risultati ci dicono che il processo negoziale non è andato abbastanza avanti. Per noi l’unica cosa che importa sono le riforme che la Grecia deve fare».
L’eurozona è in grado di resistere ad un possibile default greco?
«È una ipotesi dell’irrealtà. Non esiste un piano B. C’è solo il piano A, che prevede la permanenza della Grecia nell’euro. Se si parla di piano B vuol dire che non si crede già più nel piano A. L’eurozona deve impedire l’uscita della Grecia».
Per quanto possa apparire strano, i mercati sembrano dare credito a questa versione. Come mai questa volta vi credono?
«Perché registrano i nostri segnali che vanno nella giusta direzione. I mercati hanno una loro razionalità. E la razionalità dice che la Grecia deve restare nella moneta unica».
Si ha però la sensazione che da parte europea non si voglia concedere nulla ad Atene e ci si limiti a dettare condizioni...
«Impressione sbagliata. Sia noi sia i greci lavoriamo sulla base delle conclusioni dell’Eurogruppo del 20 febbraio che tutti, anche noi, dobbiamo rispettare. Il problema semmai è l’opposto: finora le autorità greche, per motivi che non voglio analizzare, non ci hanno ancora fornito una lista comprensiva di riforme».
Non teme l’ipotesi di un referendum sulle riforme evocata da Tsipras?
«Noi non ci immischiamo nelle scelte politiche dei governi nazionali o nelle loro procedure istituzionali. Comunque sono convinto che, se si arriva ad un accordo, sarà soddisfacente per tutti, anche per i greci».
Quello sulla Grecia è un dibattito economico o politico? Si parla di economia, ma è in gioco il principio di democrazia: i greci hanno votato per cambiare pagina. Perché non volete prenderne atto?
«Nessuno mette in discussione i principi democratici. I greci hanno votato per il cambiamento e il cambiamento deve arrivare, e deve riportare la Grecia ad una crescita sostenibile. Noi siamo pronti ad aiutare il popolo greco, non a punirlo. Ma l’eurozona comporta anche dei doveri. Se si vuole restare nella moneta unica bisogna rispettare regole e impegni. E questo vale per tutti i Paesi».
La Grecia deve rispettare tutte le condizioni, invece Francia e Italia ottengono deroghe. Non è che avete due pesi e due misure a seconda dell’importanza del Paese?
«Le decisioni prese per Francia e Italia sono nel pieno rispetto delle norme del Patto di Stabilità. Anche per Roma e Parigi, come per Atene, quel che conta è che le riforme vadano avanti. In questo senso abbiamo fatto e continuiamo a fare una pressione forte – ma positiva – sui governi italiano e francese e credo che il nostro messaggio sia stato recepito».
È soddisfatto del programma di stabilità italiano?
«Il governo sta facendo riforme importanti nel campo del lavoro, delle banche, del fisco, della pubblica amministrazione e anche in campo istituzionale. Due punti sono fondamentali. Il primo è che le riforme non devono solo essere votate in Parlamento ma vanno messe in pratica. Il secondo è che la riduzione del debito deve restare una priorità assoluta. Su questi due punti c’è ancora parecchio lavoro da fare. Ma il governo italiano è sulla buona strada».
Non vorrà negare che state usando un linguaggio molto diverso da quello della vecchia Commissione...
«Non solo non lo nego, ma ne sono orgoglioso. Del resto i tempi sono cambiati. La Commissione Barroso doveva improvvisare per trovare risposte ad una emergenza senza precedenti. Ora invece siamo in una fase di ripresa, sia pur fragile e indotta da fattori esterni. E il nostro obiettivo è far sì che la crescita diventi strutturale, endogena, e che produca posti di lavoro. Crescita e lavoro sono le nostre due uniche priorità: in questo senso è cambiato il nostro orientamento politico rispetto al passato».
Un passato in cui Bruxelles ha fatto non pochi errori...
«Sono stati fatti errori, certo. E probabilmente ancora ne stiamo facendo. Anche se non condivido tutte le scelte fatte negli anni della crisi, credo che sia sbagliato criticarli troppo: i governi e le istituzioni hanno fatto quello che hanno potuto in condizioni molto difficili».
Tra gli errori c’è anche il mancato salvataggio della Grecia che ha innescato la crisi dei debiti sovrani?
«Può darsi. Ma non voglio dare lezioni. Le lezioni fatte col senno di poi sono inutili e ingenerose».
Condivide la richiesta di Draghi per una maggiore cessione di sovranità economica dai governi nazionali a Bruxelles? E come potrebbe avvenire?
«Ho grandissima stima per Mario Draghi e per quello che fa in favore della moneta unica. E certo condivido l’idea che dobbiamo avanzare con l’integrazione dell’eurozona, che sarà discussa al prossimo vertice europeo di giugno. Le mie idee personali sono note. Dobbiamo rafforzare la governance della zona euro. Dobbiamo designare un presidente permanente dell’eurogruppo. Dobbiamo avere un organo specifico per l’eurozona all’interno del Parlamento europeo. Dobbiamo unificare la nostra rappresentanza nelle istituzioni internazionali come il Fmi. E soprattutto dobbiamo avere un bilancio comune della zona euro che sia all’altezza delle nostre ambizioni».