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 2015  aprile 30 Giovedì calendario

Berlusconi, la cena segreta con Murdoch a parlare di Netflix e la notte di trattative con Bee per la cessione della sua creatura

La cena segreta
C’era un convitato di pietra a Villa San Martino che aleggiava sopra le teste dei due tycoon ritrovati, i sorridenti Rupert Murdoch e Silvio Berlusconi: si chiama Netflix. La società americana di produzione e distribuzione via internet di tv a pagamento, co-fondata nel 1997 da Reed Hastings, dichiara già oggi 62 milioni di abbonati nel mondo e sta aggredendo il mercato europeo. Nei prossimi tre anni vuole arrivare a 150 milioni di clienti ed è facile prevedere che i primi a farne le spese saranno proprio le pay tv esistenti, satellitari o sul digitale terrestre, di Murdoch e Berlusconi. I due sanno bene che negli Stati Uniti Netflix ha distrutto i business model delle pay tv, con prezzi nettamente più bassi e la possibilità di veicolare le serie in streaming su internet con costi di distribuzione bassissimi.
È uno scenario inquietante ed è da questa consapevolezza che nasce l’incontro di Arcore, facilitato dai buoni uffici di Tarak Ben Ammar, l’imprenditore franco tunisino presente all’incontro, grande amico sia di Murdoch che di Berlusconi e da poco entrato anche nel cda di Vivendi su indicazione del maggiore azionista Vincent Bollorè. Murdoch è arrivato a Villa San Martino insieme al primogenito Lachlan, cioè colui che dovrà raccogliere le redini del colosso News Corp quando il padre (oggi 84 enne) non ci sarà più. A Villa San Martino, dopo due anni di assenza, ha trovato Berlusconi insieme al figlio Pier Silvio, già buon amico di Lachlan, ma senza i fratelli e senza il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri. Si è discusso della possibilità di far confluire Mediaset Premium, la pay tv del Biscione in perdita ma con due milioni di abbonati, sotto l’ombrello del colosso europeo Sky che ha recentemente inglobato le attività di Gran Bretagna, Germania e Italia all’interno di un unico contenitore con sede a Londra. Il ragionamento di Murdoch è molto semplice: l’unico modo per contrastare l’avanzata di Netflix in Europa è quello di consolidare le posizioni in anticipo. Un gruppo Sky più grosso, diciamo da 30 milioni di abbonati (con Premium ne aggiungerebbe 2 ai 20 milioni già in casa) potrebbe avere le risorse per comprare più contenuti e produrre più serie televisive in modo da contrastare il nemico sul nascere. Perché una cosa è certa: la battaglia è sui contenuti, non sulle piattaforme di distribuzione. Murdoch lo sa da almeno due anni e non a caso con la sua News Corp voleva comprare Time Warner, proprio per competere ad ampio raggio sul terreno dei contenuti. L’affondo non è riuscito ma nel frattempo con il riassetto di Sky ha portato parecchie risorse in capo alla Fox che verranno impiegate per produrre contenuti da veicolare sulle piattaforme “pay” del gruppo. A Bruxelles la Commissione Ue è consapevole di questi sviluppi e ora rende più facili le aggregazioni tra operatori dello stesso settore. Telefonica in Spagna con l’acquisto di Digital Plus è diventato l’unico operatore pay tv del paese e la stessa Sky ha avuto disco verde in breve tempo alla sua concentrazione. Dunque un acquisto di Mediaset Premium da parte di Sky con il Biscione che resta con una quota di minoranza è un’operazione che s’ha da fare e che a questo punto entrerà nel vivo con le discussioni tra Lachlan e Pier Silvio. D’altronde il tempo stringe, Netflix ha già un protocollo d’intenti firmato con Telecom Italia che sta cercando di espandere il più possibile la sua rete in banda larga e dunque l’ingresso ufficiale del colosso americano in terra italiana è questione di mesi. E sullo sfondo, con un portafoglio gonfio di cassa, si aggira la francese Vivendi, che sta studiando come muoversi al meglio in Europa ed entro giugno diventerà il socio di riferimento nella stessa Telecom Italia. Uno scenario in grande movimento che il pranzo di Arcore potrebbe aver accelerato ancora di più.
Giovanni Pons
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... E la notte di trattative
Dopo un ciclo lungo trent’anni e ventotto trofei aggiunti alla storica bacheca dei successi sportivi del Milan, Silvio Berlusconi passa la mano. Comunque vada a finire la lunga trattativa iniziata nel tardo pomeriggio di ieri (e proseguita per tutta la notte), la maggioranza del club rossonero cambierà proprietario.Una scelta certificata da uno dei più stretti collaboratori dell’ex Cavaliere, il presidente di Fininvest Fedele Confalonieri che in dialetto milanese ieri ha messo il sigillo alla fine di un’era: «Ques chi l’è vera», ha dichiarato riferendosi all’offerta economica che potrebbe convincere Berlusconi. Si parla di 800-900 milioni di euro di valorizzazione complessiva, cui si devono aggiungere i debiti finanziari pari a 234 milioni.In ogni caso, siamo di fronte a una svolta epocale. Non tanto perché a guidare la trattativa è un finanziere tailandese a capo di una cordata di investitori arabi e cinesi, dato per favorito sulla cordata rivale tutta ma de in Pechino, pronta a farsi avanti in caso di fallimento. Ma perché fra tutte le “creature” dell’ex Cavaliere il Milan è quella su cui maggiormente ha costruito la sua popolarità e la sua immagine di “vincente”, a partire dalla fine degli anni Ottanta. E che l’ha aiutato non poco anche in chiave elettorale. Non per nulla, Berlusconi ha posto come clausola contrattuale la certezza di rimanere come presidente onorario, senza un termine di scadenza. Così come dovrebbero rimanere sia Adriano Galliani che Barbara Berlusconi.Il fatto che anche il Milan possa passare in mani straniere non dovrebbe più costituire una sorpresa per il calcio italiano. I tifosi dovrebbero ormai averci fatto l’abitudine, dopo i precedenti dell’indonesiano Eric Thohir che ha ereditato Inter dalla famiglia Moratti soltanto due anni dopo il “triplete” e dell’americano James Pallotta, nato a Boston anche se di chiare origini tricolori, che dal 2011 è socio di controllo della Roma.Con il Milan l’Asia passa in vantaggio. A guidare la trattativa iniziata ieri pomeriggio intorno alle 18 nella residenza berlusconiana di Arcore è il broker tailandese Bee Taechaubol (per ironia della sorte soprannominato Mister B. dai media di Bangkok). Con lui anche i rappresentanti dei soci finanziari, due colossi del credito asiatico che rispondono al nome di Ads Securities di Abu Dhabi legata alla famiglia reale degli Emirati e China Citic Bank, che risponde direttamente al governo di Pechino. Mister Bee ha agganciato Berlusconi alla fine dell’anno scorso. A creare il contatto una vecchia conoscenza del calcio italiano, Fabio Cannavaro: l’ex capitano del Mondiale 2006 si è fatto finanziare da Taechaubol il progetto Gls Academy, in cui sono soci due avvocati, Pablo Dana e James Davies-Yandle, a loro volta coinvolti nelle trattative. GLS Academy è il ramo dell’azienda che ha ottenuto dal governo di Xi Jinping l’organizzazione del progetto per introdurre il calcio obbligatorio nelle scuole per i 260 milioni di bambini del paese.Nella trattativa, a dividere le parti sono le cifre. Berlusconi ha detto più volte di aver valutato il marchio Milan, uno dei primi dieci club più noti al mondo, attorno al miliardo. La cordata asiatica tratta su cifre più basse. Sul resto dell’accordo i legali hanno lavorato negli ultimi due mesi. Mister B. assieme ai suoi soci prenderebbero subito al 25-30 per cento per poi salire con un aumento di capitale alla maggioranza. In alternativa, ha riportato nei giorni scorsi il Sole 2-4Ore, potrebbe essere prevista la quotazione in una Borsa asiatica, una volta ricostruita la squadra e riportata a giocare con successo la Champions League. A suggerire che i tempi sono maturi per la vendita, anche il bilancio del Milan appena approvato con una perdita record di 91 milioni.Enrico Currò e Luca Pagni