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 2015  aprile 30 Giovedì calendario

Abbigliamento, innovazione e ora anche calcio. Carpi, un distretto che vale 1,4 miliardi di euro. Liu Jo, Blumarine, Manila Grace, Twin-Set e Gaudì, l’azienda di Bonaccini, che nel giro di tre anni ha portato il club prima in serie B e ora in A

Calcio e business in Emilia vanno di pari passo e di gran carriera. E dopo l’exploit del Sassuolo di proprietà di Giorgio Squinzi, presidente della Confindustria e patron della Mapei, è ora la volta di Carpi e di una pattuglia di imprenditori del made in Italy. Il Carpi Calcio sta stravincendo il campionato di serie B ed è stato promosso in A con largo anticipo.
Una storia di successo che premia un territorio che ha saputo inventarsi nell’abbigliamento un nuovo modello di business e zittire i gufi che avevano pronosticato una seconda Prato, Carpi come Chinatown della via Emilia. Storicamente la cittadina (70 mila abitanti) che dista solo 18 km dal capoluogo Modena è stata al centro del distretto della maglieria e se non avesse cambiato marcia avrebbe potuto declinare rapidamente. Invece l’azione di una serie di imprenditori innovatori ha rivitalizzato il territorio creando una piccola capitale del pronto moda italiano.
La considerazione di cui gode Carpi va ben oltre l’Emilia ed è testimoniata da una recente indagine dello studio milanese Pambianco condotta tra le società dell’abbigliamento che si potrebbero quotare dall’oggi al domani: in una lista di 50 aziende 4 sono carpigiane. I nomi sono conosciuti per i negozi diffusi un po’ ovunque e per le campagne pubblicitarie di successo e si chiamano Liu Jo, Blumarine, Manila Grace e Twin-Set. Con l’eccezione di quest’ultima, controllata dal fondo Carlyle, si tratta di aziende di famiglia che hanno rinnovato produzioni e griffe. Secondo gli addetti ai lavori avrebbero addirittura realizzato un’operazione alla Zara, la catena spagnola che ha sfondato nel mondo. Il paragone si basa sulla constatazione che queste aziende sono in grado di sfornare e consegnare ogni 2-4 settimane una nuova mini-collezione da 10-20 prodotti. Ed è proprio la capacità di risposta veloce al mercato il segreto di questa trasformazione: i negozi vengono riforniti continuamente, non hanno tempi morti.
«Il distretto vale 1,4 miliardi di euro – dice Franco Mosconi, studioso del modello e carpigiano d’adozione —. Le prime quattro-cinque aziende sono responsabili di quasi la metà del fatturato e prosegue un processo di concentrazione che ha portato alla formazione di una nuova élite di medie imprese». Una di queste è la Gaudì di proprietà di Stefano Bonacini, che nel giro di tre anni ha portato il Carpi prima in B e ora in A. Il club calcistico a conferma dello stretto legame con il territorio ha come sponsor la Blumarine e nella compagine societaria ci sono altri imprenditori dell’abbigliamento come Claudio Cajumi. Le potenzialità del distretto sono ancora largamente inespresse e l’eventuale approdo in Borsa delle aziende di punta potrebbe rappresentare il prossimo step. «Le industrie locali si devono aprire a nuovi apporti – sostiene da tempo Florio Magagnini, direttore del settimanale locale Voce – devono importare un po’ di cultura finanziaria milanese». Qualche segnale in questa direzione sta maturando visto che un’altra azienda, Via delle Perle, è passata sotto il controllo di un fondo di investimento Usa che ha portato nuovi manager.
La serie A obbligherà il Carpi a una salto di qualità anche dal punto di vista della struttura societaria. Si parla molto in città di altri imprenditori interessati e si fa il nome di Maurizio Setti, attuale presidente dell’Hellas Verona, proprietario – guarda caso – della Manila Grace. Per ora sono chiacchiere da bar perché Setti possiede già il team veronese (anch’esso in A) e non sarebbe compatibile per personalità e reciproche ambizioni con Bonacini. C’è però da intervenire subito sullo stadio. A Sassuolo Squinzi ha aperto il portafoglio e comprato l’impianto di Reggio Emilia, rimettendolo a nuovo e sperimentando per il campo da gioco nuove soluzioni targate Mapei. I carpigiani la domenica potrebbero emigrare a Modena ma tra le due tifoserie non corre buon sangue. L’idea che sembra più percorribile è quella di ampliare le tribune di Carpi anche se di posti ne mancano ben 6 mila. Il Comune ha fatto sapere che potrebbe rinunciare al canone di affitto e dare lo stadio in comodato d’uso al Carpi Calcio, che comunque dovrà investire più di 5 milioni. «Ma servono davvero stadi così grandi in provincia? – si chiede Magagnini – Non basta assicurare una buona resa televisiva? Tanto comanda Sky».