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 2015  aprile 29 Mercoledì calendario

Il lato oscuro di Lord Byron. Il re dei romantici era licenzioso, incestuoso geniale e crudele. E anche omosessuale

Se si pensa all’incarnazione dell’ideale romantico di poeta e uomo, Lord Byron ne è forse l’esempio più fulgido. Capriccioso, moralista, licenzioso, geniale e crudele, ossessionato in egual misura dalla furia di vivere libero ogni attimo e dall’idea di una sorta di predestinazione maledetta, George Gordon Byron ha contribuito – al fianco dei colleghi e amici Keats e Shelley – a forgiare la cultura del suo tempo. In Lord Byron e la fatalità (Castelvecchi, pp. 288, euro 19,50) lo scrittore Charles Du Bos ricostruisce attraverso un minuzioso utilizzo delle fonti epistolari la «vita spericolata» del poeta, la sua biografia definitiva indissolubilmente legata alla sua produzione letteraria. La sua infanzia è stata tutt’altro che felice: il padre, conosciuto come Jack il Matto, aveva sperperato tutti i soldi di famiglia prima di morire nel 1791, probabilmente suicida; mentre la madre – con cui crebbe George – era di discendenza nobile e dissennata di temperamento. Una malformazione ai tendini aveva reso il giovane Byron zoppicante, ma per compensare questa «mancanza» fisica il poeta si dedicava a tutti i tipi di sport con grande passione, così come alle donne, ai piaceri della bella vita e ai viaggi. Le donne in particolare hanno avuto un ruolo fondamentale, anche se spesso si trattava di figure effimere soggiogate dal fascino del genio maledetto emanato da George. «Tutti i suoi errori fecero male unicamente a se stessa», scrisse con pietà il marito di Lady Caroline Lamb nel suo necrologio. La dama, infatti, è stata «la più commovente fra le vittime di Byron», come spiega Du Bos descrivendo la burrascosa relazione. In questo periodo di mondanità londinese sono state partorite alcune celebri opere, quali La sposa di Abido, Il corsaro e Lara. Intanto, la giostra femminile prosegue con Anna Isabella Milbanke, detta Annabella, una donna nobile, brillante e dai saldi principi morali. L’unione con un poeta dai modi stravaganti e poco incline alla fedeltà non era destinata a durare e lo stesso Du Bos riporta un episodio di crudeltà ai danni della povera Annabella: «Una sera che era rientrato ubriaco da una cena a casa di Kinnaird, si era gettato ai piedi della moglie, dandosi del mostro, in preda a un’angoscia di rimorsi certamente più commovente del solito». A quel punto la donna, commossa da quel pianto che sembrava autentico, perdona il marito e gli dice che tutto sarebbe stato dimenticato. Ma Byron sfodera un ghigno disumano e si rivolge alla moglie incredula: «Si trattava soltanto di un’esperienza filosofica; null’altro. Desideravo mettere alla prova la fermezza delle vostre decisioni». La nascita della figlia Augusta Ada, (futura Lady Lovelace, nota matematica della prima metà dell’800), non ha migliorato la situazione, anzi le prime parole ringhiate dal poeta sulla culla della bambina sono state atroci: «Oh! Quale strumento di tortura mi è stato dato in te!». L’unico vero, grande amore della vita di Byron è stato anche il più discusso, quello vissuto in segreto (anche se la società perbenista londinese comunque mormorava) con la sorellastra Augusta. Anche le voci piuttosto fondate di rapporti omosessuali non giovarono all’immagine del poeta, che per questo nel 1816 lasciò per sempre l’Inghilterra. I numerosi viaggi lo hanno portato in Svizzera in compagnia dei coniugi Shelley (e della bella Claire, futura madre di Allegra, altra figlia non desiderata da Byron); poi c’è stata l’Italia, dove ha lavorato a varie opere tra cui il Don Juan; poi ancora la Grecia, dove ha appoggiato la guerra per l’indipendenza contro l’Impero Ottomano. Proprio a Missolungi, nel 1824, morì di meningite, diventando per i greci una specie di eroe nazionale. Ossessionato dall’idea di «fatalità», Byron soffriva per i propri dissidi interiori, ma pensava fermamente che non ci fosse modo per vivere altrimenti: «Qualche maledizione pesa su di me e sui miei», diceva colmo di cinismo e rassegnazione e confondendo con sublime poesia vita e arte si definiva «Il cupo viaggiatore», uno straniero «dal cuore di marmo».