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 2015  aprile 29 Mercoledì calendario

«Con questa legge qua la demagogia va in carrozza. Io, se serve, di sberle ne prendo quante volete, l’Italia no». Pierluigi Bersani dice di non riconoscere più il suo Partito: «Questa non è più la ditta che ho costruito io». E sulla prepotenza di Renzi rincara la dose: «Lui è in natura così. E non è una bella natura»

Ha l’aria mesta Pier Luigi Bersani mentre sale lo scalone di Montecitorio e si ferma davanti alla porta della commissione Attività produttive: «Vedo tanta tristezza in giro, tanta tristezza...».
Per settimane si è sgolato, si è appellato al senso di responsabilità del presidente del Consiglio, lo ha implorato di non mettere la fiducia sulla legge elettorale, come nella storia d’Italia è accaduto solo due volte: sulla legge Acerbo del 1923 (all’inizio del ventennio di Mussolini) e sulla cosiddetta legge «truffa» del 1953. Gli ha chiesto di farsi carico del pericolo di una spaccatura irreparabile del Partito democratico, ha persino evocato il rischio di una dolorosa scissione. Ma niente, Matteo Renzi ha tirato dritto.
E poiché l’intenzione di accelerare filtrava da Palazzo Chigi sin dal mattino, il già ministro dell’Industria e dello Sviluppo economico ha messo a verbale la sua contrarietà nella votazione a scrutinio palese sulla richiesta di sospensiva dell’Italicum. Sui tabulati il nome di Bersani risulta tra i 17 deputati che sono usciti dall’aula al momento del voto. Un primo messaggio politico, chiaro e forte. E quando la notizia della fiducia è ufficiale, l’ex segretario non riesce a tenere per sé la rabbia e la preoccupazione di cui è gonfio il suo animo.
Davvero non voterà la fiducia?
«Davanti a scelte di questa portata, ognuno deve assumersi le sue responsabilità. Vedremo cosa fare assieme e poi vedrò cosa fare io».
Giudica sbagliata la scelta del premier di legare la legge elettorale alla vita del governo?
«Sì, perché qui il governo non c’entra niente. A essere in gioco è una cosuccia che si chiama democrazia».
Perché Renzi ha deciso di forzare? Nella minoranza si parla di prepotenza...
«Lui è in natura così».
E com’è la natura di Renzi?
«Non è una bella natura».
È rimasto spiazzato dalla prova di forza?
«No, io non avevo dubbi che avrebbe messo la fiducia. Ma che bisogno c’era? Si dice che la gente non capisca di che cosa si sta discutendo in Parlamento. Ma insomma, tocca a me spiegarlo?».
Anche a lei, sì.
«Può essere che tocchi anche a me, ma tocca a tutti. Parliamo delle regole del gioco, parliamo della nostra democrazia. Una cosa che non riguarda Bersani contro Renzi».
Il premier le ha dato una bella sberla mettendo la fiducia.
«Ma io, se serve, di sberle ne prendo quante volete. Il problema non è Bersani, è l’Italia».
Col voto contrario di una parte della minoranza sarà la fine della ditta?
«Non è più la ditta che ho costruito io. Questa è un’altra cosa, un altro partito».
Ma lei ci può stare in un partito così? O pensa alla scissione?
«Ma dove posso andare... Sa come diceva Dante Alighieri? Se io vo, chi rimane? Se io rimango, chi va? ( Trattatello in laude di Dante di Giovanni Boccaccio, ndr ).
Crede davvero che l’Italicum sia la peggiore delle leggi possibili?
«Con questa legge qua la demagogia va in carrozza. Ma lei se lo immagina cosa diventeranno le prossime elezioni? Sarà il festival della demagogia».
Esagera, onorevole.
«No, saranno una gara a chi la racconta più grossa».
Qual è la cosa che le ha fatto più male?
«La fiducia su una questione così importante per la democrazia. Io lo sapevo fin dall’inizio che finiva così. Com’era quel titolo del Corriere?».
«Bersani pronto a uscire dall’Aula per non dover votare sul governo». Abbiamo sbagliato?
«Direi proprio di no».