Non che i grillini aspettassero il suo via libera, a dire la verità. Si erano trattenuti a stento dall’applaudire Renato Brunetta, quando il capogruppo berlusconiano ha usato il lessico mussoliniano per tentare di tingere di nero la riforma del governo: «Non consentiremo che quest’aula diventi un bivacco di manipoli renziani! Noi non consentiremo il fascismo renziano! ». Ma appena il vicecapogruppo del Pd Ettore Rosato ha osato ricordare che il premio alla lista e non alla coalizione lo avevano chiesto a Renzi proprio i grillini, «nell’incontro in diretta streaming con il Movimento 5Stelle», anche se oggi «non hanno il coraggio di dire che questa legge a loro piace», dai banchi pentastellati è stato esposto tutto il campionario dell’offesa triviale, da «Vergogna! » a «Venduto!», da «Coglione! » a «Vaffanculo!», mentre una di loro, Giulia Grillo, twittava dall’aula: «Rosato mi ricorda un generale nazista. Cieca obbedienza e fedeltà assoluta. Così comincia la dittatura».
Ma il deputato renziano è andato avanti, e s’è tolto subito un altro sassolino dalla scarpa: «Forse quando Brunetta parlava di bivacco di manipoli si riferiva ai 5Stelle…». Non l’avesse mai detto. I grillini sono insorti più incarogniti di prima, costringendo ancora la Boldrini a bacchettarli: «Basta! Questa è un’aula parlamentare e voi non ne siete i titolari. Loro hanno consentito a voi di parlare e voi dovete consentirlo a loro».
Dopo una mattinata relativamente tranquilla, chiusa dalla bocciatura delle pregiudiziali di costituzionalità, a Montecitorio il clima è diventato rovente alle tre e mezza, quando la ministra Maria Elena Boschi — che affrontava l’aula con una blusa candida a pois neri, sola con il ministro Galletti sui banchi del governo, per quanto protetta da una fitta prima linea di sottosegretari — ha pronunciato la formula tanto attesa e tanto temuta: «A nome del governo, pongo la questione di fiducia sull’approvazione…». E prima ancora che riuscisse a completare la frase, il fittian-forzista Maurizio Bianconi — evidentemente ripresosi dal sonno micidiale che a mezzogiorno lo aveva fatto crollare a occhi chiusi sul suo banco — le ha gridato: «Vergogna!». E poi: «Fate schifo!». Quindi, con la faccia disgustata, è uscito in Transatlantico per spiegare meglio il concetto: «Branco di maiali infami!».
E i vendoliani? Neanche loro si sono fatti attendere. Anzi, avevano già preparato uno show in stile grillo-leghista. Il capogruppo Arturo Scotto non si è accontentato di ribattezzare l’Italicum con il nome «Sovieticum », ma ha fatto un discorso volutamente lugubre. «Voi avete deciso di fare il funerale della democrazia, avete varcato le colonne d’Ercole…». Poi il colpo di teatro: «E ai funerali si partecipa con i crisantemi! ». A quelle parole, tutti i deputati di Sel hanno tirato fuori da sotto il banco dei grandi crisantemi bianchi, scagliandogli contro i banchi del governo e obbligando la Boldrini (loro compagna di partito) all’ennesimo richiamo: «Non si lanciano fiori in aula! Togliete questi crisantemi, togliete questi fiori!».
E così l’Italicum si avvia verso il voto decisivo — quello finale, a scrutinio segreto — tra urla, insulti, proteste e lanci di fiori. E’ sempre più evidente che si va verso uno scontro che vedrà, figurativamente, morti e feriti, e dunque sembrano paradossalmente surreali gli inviti al confronto civile. Ci prova Pino Pisicchio, capitano di lungo corso del Transatlantico, avvertendo senza alzare la voce i colleghi: «Peccato, stiamo sprecando un’occasione». Ci prova anche il professor Buttiglione, che usa il latino per tentare di stemperare gli animi: «Qui jure suo utitur, neminem laedit» (chi fa uso del suo diritto non fa danno a nessuno). Poi, già che c’è, da collega a collega, dà una lezione volante a Brunetta, seduto cinque file davanti a lui: «Non è possibile approvare una legge al Senato e poi dire qui che quella legge è liberticida. Non è possibile e non è giusto». Brunetta frigge ma non replicherà. Né a lui né a Ignazio La Russa, al quale proprio non è andata giù la citazione dell’amato duce sul «bivacco di manipoli », e perciò s’è vendicato con una stilettata, scandita con il suo vocione rauco: «Non è bello riecheggiare in un momento di farsa qualcosa che nella storia ha significato tragedia». E non si capiva se «il momento di farsa» era l’approvazione dell’Italicum o l’intervento del capogruppo forzista.
Sebastiano Messina