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 2015  aprile 29 Mercoledì calendario

Italicum, in Aula piovono crisantemi e parole grosse e il governo mette la fiducia. Il Pd si spacca e perde la vecchia classe dirigente, l’M5S se la prende con la Boldrini e Grillo critica Mattarella. Renzi: «La Camera ha diritto di mandarmi a casa, se vuole. Finché sto qui, provo a cambiare l’Italia»

Corriere della Sera

Il governo supera in scioltezza alla Camera i primi voti segreti sull’Italicum – con 385 voti, contro 208 dell’opposizione – ma nonostante il successo Matteo Renzi non si fida della sua super-maggioranza e azzera gli altri 80 scrutini segreti sugli emendamenti alla legge elettorale, imponendo al Parlamento tre voti di fiducia su altrettanti articoli del testo. Dopo l’annuncio del ministro Maria Elena Boschi, in Aula scoppia il caos. Il Pd si spacca e perde la vecchia classe dirigente: Bersani, Epifani, Bindi, Letta, Speranza, Civati. Altri oggi e domani non voteranno la fiducia al premier Renzi e lunedì potrebbero votare contro l’intero testo della legge elettorale. Le opposizioni lanciano crisantemi tra i banchi (Sel), denunciano «il bivacco dei manipoli fascisti di Renzi» (Brunetta di Forza Italia) e tirano per la giacchetta il presidente della Repubblica con l’hashtag #mattarellanonfirmare («L’estrema unzione del Quirinale» secondo Beppe Grillo). Indietro non si torna. E ora «la Camera ha diritto di mandarmi a casa, se vuole: la fiducia serve a questo. Finché sto qui, provo a cambiare l’Italia», scrive su Twitter il presidente del Consiglio mentre in aula la calma apparente si trasforma urla che si levano soprattutto dai banchi di Sel e del M5S. Che la situazione stia per precipitare lo si capisce dopo il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità presentate da Forza Italia. Si vota a scrutino segreto ma la maggioranza tiene bene: arrivano 385 voti anche se il capogruppo vicario del Pd Ettore Rosato si aspettava di più. Quota 400 voti rimane lontana e anche i voti extra maggioranza (una ventina tra quelli degli azzurri e degli ex grillini) non compensano le emorragie interne di una parte della minoranza del Pd e di quella attribuita ai centristi (Scelta civica e Popolari per l’Italia). Andrea Giorgis (Pd) non partecipa al voto sulla pregiudiziale di costituzionalità: «Il Paese non ha bisogno di un altro governo né di una legge elettorale che rischia di ripetere gran parte dei vizi del Porcellum». Invece, gli altri bersaniani votano secondo le indicazioni del gruppo per non dare alibi al governo sulla fiducia. Però l’illusione che Renzi tiri di fioretto dura poco. Una riunione lampo del consiglio dei ministri autorizza la fiducia e dopo una manciata di minuti la ministra Maria Elena Boschi, che per settimane ha usato i «se» e i «ma», recita in Aula la formula di rito: «Autorizzata dal consiglio dei Ministri pongo al questione di fiducia sugli articoli 1, 2 e 4...». Scoppia il caos. Maurizio Bianconi (FI) urla «Fate schifo». Arturo Scotto dà il via e dai banchi di Sel volano crisantemi bianchi e gialli sull’emiciclo: «Deputati di Sel, non si lanciano fiori in aula», si sgola la presidente Boldrini. Renato Brunetta (FI) ripete almeno quattro volte: «Non permetteremo che questa aula sia ridotta a un bivacco di manipoli...». Ignazio La Russa (FdI) dice che al Senato, sull’Italicum c’è stata «una squallida compravendita dei voti...». Ma il caos vero, con tutti i grillini in piedi, scatta quando interviene per il Pd Ettore Rosato che non incassa, anzi scava nella carne viva dell’opposizione: «È il M5S che ci ha chiesto il premio di maggioranza al partito... È Forza Italia che ci ha ripensato dopo aver votato sì al Senato».
Alla fine la presidente Boldrini riesce a condurre in porto una seduta delicata. «Collusa», le urlano i grillini e lei ribatte: «Ne dovrete rispondere». Ma i precedenti sostengono la tesi della presidenza: «Sarebbe arbitrario da parte della presidenza non ammettere il voto di fiducia. Non entro certo nel merito della scelta...». Di Sera al Tg1 Renzi cita De Gasperi e Moro: «Anche loro misero la fiducia sulla legge elettorale».
La fiducia sull’articolo 1 si vota oggi pomeriggio, domani quelle sugli articoli 2 e 4 (il 3 non si tocca perché già approvato da Camera e Senato). Poi, lunedì o martedì, ci sarà il voto segreto sull’intera legge. Se approvato in terza lettura, l’Italicum sarà, come stabilito, legge vigente a partire dal 1° luglio del 2016. A meno che un decreto non ne anticipi l’efficacia.
Dino Martirano

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La Repubblica
Mettendosi le mani a imbuto attorno alla bocca, il cittadino a 5Stelle Diego De Lorenzis urla con tutto il fiato che ha in gola: «Collusa!». Ce l’ha con la presidente della Camera, colpevole anzi colpevolissima di aver dichiarato ammissibile il voto di fiducia sull’Italicum. Lei, che di solito purtroppo abbozza, stavolta alza la testa di scatto: «Chi ha parlato?» domanda, interrompendosi. De Lorenzis si alza con la spavalderia di un Franti: «Sono stato io!». La presidente, furiosa: «Lei non può esprimersi in questo modo nei confronti della presidenza. Lei ne dovrà rispondere!». Lui, ancora più spavaldo, puntandole contro il dito indice: «E ne risponderò. Ma anche lei dovrà rispondere… ». E attorno a lui i suoi colleghi pentastellati si alzano per dargli man forte, agitando le mani per lanciare alla Boldrini messaggi inequivocabili in quel codice a gesti che usano gli automobilisti imbufaliti al centro di un ingorgo a croce uncinata. Lei allora sbotta: «Continuate con gli insulti perché non sapete argomentare! Dunque insultate pure, insultate, liberi di insultare!».
Non che i grillini aspettassero il suo via libera, a dire la verità. Si erano trattenuti a stento dall’applaudire Renato Brunetta, quando il capogruppo berlusconiano ha usato il lessico mussoliniano per tentare di tingere di nero la riforma del governo: «Non consentiremo che quest’aula diventi un bivacco di manipoli renziani! Noi non consentiremo il fascismo renziano! ». Ma appena il vicecapogruppo del Pd Ettore Rosato ha osato ricordare che il premio alla lista e non alla coalizione lo avevano chiesto a Renzi proprio i grillini, «nell’incontro in diretta streaming con il Movimento 5Stelle», anche se oggi «non hanno il coraggio di dire che questa legge a loro piace», dai banchi pentastellati è stato esposto tutto il campionario dell’offesa triviale, da «Vergogna! » a «Venduto!», da «Coglione! » a «Vaffanculo!», mentre una di loro, Giulia Grillo, twittava dall’aula: «Rosato mi ricorda un generale nazista. Cieca obbedienza e fedeltà assoluta. Così comincia la dittatura».
Ma il deputato renziano è andato avanti, e s’è tolto subito un altro sassolino dalla scarpa: «Forse quando Brunetta parlava di bivacco di manipoli si riferiva ai 5Stelle…». Non l’avesse mai detto. I grillini sono insorti più incarogniti di prima, costringendo ancora la Boldrini a bacchettarli: «Basta! Questa è un’aula parlamentare e voi non ne siete i titolari. Loro hanno consentito a voi di parlare e voi dovete consentirlo a loro».
Dopo una mattinata relativamente tranquilla, chiusa dalla bocciatura delle pregiudiziali di costituzionalità, a Montecitorio il clima è diventato rovente alle tre e mezza, quando la ministra Maria Elena Boschi — che affrontava l’aula con una blusa candida a pois neri, sola con il ministro Galletti sui banchi del governo, per quanto protetta da una fitta prima linea di sottosegretari — ha pronunciato la formula tanto attesa e tanto temuta: «A nome del governo, pongo la questione di fiducia sull’approvazione…». E prima ancora che riuscisse a completare la frase, il fittian-forzista Maurizio Bianconi — evidentemente ripresosi dal sonno micidiale che a mezzogiorno lo aveva fatto crollare a occhi chiusi sul suo banco — le ha gridato: «Vergogna!». E poi: «Fate schifo!». Quindi, con la faccia disgustata, è uscito in Transatlantico per spiegare meglio il concetto: «Branco di maiali infami!».
E i vendoliani? Neanche loro si sono fatti attendere. Anzi, avevano già preparato uno show in stile grillo-leghista. Il capogruppo Arturo Scotto non si è accontentato di ribattezzare l’Italicum con il nome «Sovieticum », ma ha fatto un discorso volutamente lugubre. «Voi avete deciso di fare il funerale della democrazia, avete varcato le colonne d’Ercole…». Poi il colpo di teatro: «E ai funerali si partecipa con i crisantemi! ». A quelle parole, tutti i deputati di Sel hanno tirato fuori da sotto il banco dei grandi crisantemi bianchi, scagliandogli contro i banchi del governo e obbligando la Boldrini (loro compagna di partito) all’ennesimo richiamo: «Non si lanciano fiori in aula! Togliete questi crisantemi, togliete questi fiori!».
E così l’Italicum si avvia verso il voto decisivo — quello finale, a scrutinio segreto — tra urla, insulti, proteste e lanci di fiori. E’ sempre più evidente che si va verso uno scontro che vedrà, figurativamente, morti e feriti, e dunque sembrano paradossalmente surreali gli inviti al confronto civile. Ci prova Pino Pisicchio, capitano di lungo corso del Transatlantico, avvertendo senza alzare la voce i colleghi: «Peccato, stiamo sprecando un’occasione». Ci prova anche il professor Buttiglione, che usa il latino per tentare di stemperare gli animi: «Qui jure suo utitur, neminem laedit» (chi fa uso del suo diritto non fa danno a nessuno). Poi, già che c’è, da collega a collega, dà una lezione volante a Brunetta, seduto cinque file davanti a lui: «Non è possibile approvare una legge al Senato e poi dire qui che quella legge è liberticida. Non è possibile e non è giusto». Brunetta frigge ma non replicherà. Né a lui né a Ignazio La Russa, al quale proprio non è andata giù la citazione dell’amato duce sul «bivacco di manipoli », e perciò s’è vendicato con una stilettata, scandita con il suo vocione rauco: «Non è bello riecheggiare in un momento di farsa qualcosa che nella storia ha significato tragedia». E non si capiva se «il momento di farsa» era l’approvazione dell’Italicum o l’intervento del capogruppo forzista.
Sebastiano Messina