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 2015  aprile 28 Martedì calendario

«L’ultima volta in cui battemmo la Juve le partite non venivano ancora trasmesse in diretta tv». Dopo vent’anni il Toro si porta a casa il derby ma la gioia viene offuscata della violenza

Il teppismo ha oscurato l’aspetto sportivo ed esistenziale del derby di Torino, vinto dal Toro dopo vent’anni di astinenza. Praticamente un’altra era. L’ultima volta in cui battemmo la Juve le partite non venivano ancora trasmesse in diretta tv, non c’erano i cognomi dei calciatori sulle maglie, il biglietto d’ingresso si pagava in lire e dopo ogni gol l’altoparlante rimaneva muto, anziché scandire con toni orgiastici le generalità del marcatore. L’attesa interminabile ha alimentato in maniera spasmodica il desiderio, provocando un torrente di commozione. Al fischio finale ho pensato a mio padre, che quell’ultimo (ora penultimo) trionfo fece in tempo a vederlo. Me lo sono immaginato al mio fianco, serio e immobile come sapeva essere quando voleva proteggersi dalle emozioni, ma contraddetto dal volto che si andava accendendo di mille colori, con una preferenza per il rosso paonazzo: praticamente granata. Mentre lo pensavo mi sono scese due lacrime. E mentre le lacrime scendevano non smettevo di parlare al telefono con amici e colleghi che piangevano peggio di me. Chi pensava anche lui al padre che non c’era più («Cosa si è perso»!). E chi al figlio studente universitario che aveva finalmente esplorato la sensazione di un derby vittorioso in rimonta, fin lì conosciuta solo attraverso i racconti degli avi.
La felicità non è, almeno per noi del Toro, uno stato di benessere costante. È il brivido a lungo sognato, che dopo essere stato assaporato fino in fondo, va a sedimentarsi nella memoria per diventare subito ricordo e leggenda.