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 2015  aprile 27 Lunedì calendario

Il prossimo Papa sarà nero perché il futuro della Chiesa è in Africa. Le nazioni-guida della cristianità, di qui alla prossima generazione, non si chiameranno più Italia, Spagna, Austria, Polonia, come era nei primi del ‘900, ma Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania, Etiopia e Uganda. Paesi tra l’altro che figureranno fra le 10 più grandi popolazioni cristiane del mondo

Di questo passo Francesco potrebbe essere soltanto il primo di una nuova tradizione di papi provenienti dal Sud del mondo. Fra le righe del recente studio del Pew Research, infatti, c’è anche questo: se il cristianesimo nei prossimi 50 anni abbandonerà sempre di più il Nord del mondo, l’Europa e il Nord America anzitutto, esso aumenterà per numero altrove, soprattutto in Africa, tanto che c’è già chi ipotizza che al primo Papa latinoamericano potrebbe succederne uno nero.
Non è soltanto questione di demografia. Non c’entra tanto il fatto che i cristiani occidentali fanno meno figli di quelli africani, asiatici e latinoamericani. È questione anche di conversioni. L’Europa cristiana, che ancora guarda alla secolarizzazione come a un nemico provocando in questo modo una maggiore presa di distanza nei propri confronti, vedrà sempre più persone lasciare in favore dell’indifferenza o di altre religioni, mentre il cristianesimo farà proseliti e si espanderà soltanto nel Sud del mondo.
Fra i continenti dell’emisfero Sud, quello che vedrà la maggior crescita del cristianesimo è l’Africa. Se fino a pochi anni fa per la maggior parte degli analisti il futuro della Chiesa cattolica e del cristianesimo era l’America Latina, oggi occorrerebbe cambiare prospettiva. E ammettere che il futuro è l’Africa. Nel 1910 i cristiani del continente nero erano solo l’1,4% del totale, oggi sono già il 23,9% e nel 2050 saranno il 38,1%. Che significa che le nazioni-guida della cristianità, di qui alla prossima generazione, non si chiameranno più Italia, Spagna, Austria, Polonia, come era nei primi del ‘900, ma Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania, Etiopia e Uganda, Paesi fra l’altro che figureranno fra le 10 più grandi popolazioni cristiane del mondo.
Francesco ha più volte dimostrato di aver capito il trend. La sua Chiesa è delocalizzata, sinodale, promuove i vescovi per meriti sul campo, e sceglie i nuovi membri del collegio cardinalizio non in base a schemi vecchi nei quali Roma e l’Europa erano il centro della cristianità, ma pescando nuove leve nelle periferie del mondo, là dove la vita è dura ma la fede viva. Afferma spesso il cardinale Luis Tagle, arcivescovo di Manila: «In Europa tutti dicono che la Chiesa è stanca. Eppure hanno tutto, risorse, mezzi. Noi in Asia siamo poveri e in minoranza, ma la stanchezza non ci appartiene».
Al concistoro dello scorso febbraio sono stati ben 18 i Paesi del mondo rappresentati. E tra le 14 nazioni di provenienza dei nuovi cardinali elettori, sei non avevano un cardinale o non lo avevano mai avuto, come Capo Verde, Tonga o Birmania, oppure si è trattato di comunità ecclesiali piccole o in situazioni di minoranza. La diocesi di Santiago de Cabo Verde, ad esempio, è una delle più antiche diocesi africane, mentre quella di Morelia in Messico si trova in una regione travagliata dalla violenza. Non solo, se oggi è ancora l’Europa ad avere il maggior numero di cardinali elettori (56), seguita dall’America del Nord (17), l’Africa è al terzo posto (14), insieme all’Asia (14). America del Sud (12), Centrale (6) e Oceania (3) chiudono il collegio.
Nel 2012 fu Benedetto XVI a dire che, «in modo riduttivo e spesso umiliante, si descrive l’Africa come il continente dei conflitti e dei problemi infiniti e insolubili». Mentre «l’Africa è per la Chiesa il continente della speranza, è il continente del futuro». Il 7 febbraio scorso, invece, è stato Francesco a parlare dell’Africa e della «stupenda testimonianza di carità» resa dalla Chiesa del continente verso i più bisognosi, soprattutto nelle regioni più remote e isolate.