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 2015  aprile 24 Venerdì calendario

Un poker politico per le elezioni in Gran Bretagna. Johnson, Farage, Salmond e Clegg: i quattro pezzi da novanta che si giocano il futuro, perché il 7 maggio non sarà solo il «dentro o fuori» per Ed Miliband e David Cameron...

Non è solo l’elezione dell’incertezza. Il voto con cui gli inglesi decideranno tra due settimane chi siederà a Downing Street nei prossimi cinque anni sarà anche la grande passerella e il banco di prova di alcuni dei big più in vista della politica britannica. Johnson, Farage, Salmond e Clegg. Quattro pezzi da novanta che si giocano il futuro politico e insieme un pezzo dei destini dei partiti che rappresentano e anche del futuro governo. Per due di loro, il sindaco di Londra Boris Johnson e l’ex premier scozzese Alex Salmond, si tratta di un attesissimo ritorno. Per Nigel Farage, leader euroscettico dell’Ukip, potrebbe essere una prima assoluta. Per Nick Clegg, vicepremier uscente e leader dei LibDem, è il salto verso l’incognito.
Il 7 maggio non sarà solo il «dentro o fuori» per Ed Miliband e David Cameron. Quella è la battaglia campale e più imprevedibile che mai, con i sondaggi che rilevano ancora una quasi parità tra Labour e Tory e la ragionevole certezza che mancherà una maggioranza assoluta e quindi sarà necessaria una coalizione. Il leader laburista è a un passo dalla poltrona più ambita, il premier conservatore aspetta con impazienza la riconferma a capo del governo. Uno dei due – come è buona e consolidata abitudine nella politica britannica – perderà la leadership del proprio partito se fallirà nell’impresa. A uno dei due resterà solo il seggio d’elezione: la roccaforte Tory di Witney, nell’Oxfordshire, per Cameron e la roccaforte Labour di Doncaster North, nello Yorkshire, per Miliband. Ma è a margine del grande duello che si combatteranno le singole battaglie personali e verranno testate le ambiziose aspirazioni dei quattro big all’assalto di Westminster.
In pole position c’è il «re» di Scozia. L’ex premier Alex Salmond veleggia verso un nuovo trionfo nel seggio di Gordon, Aberdeenshire. Rientrerà a Westminster dopo una lunga esperienza accumulata da fine anni Ottanta al 2010. E sarà un incubo di cui il Labour rischia di non poter fare a meno. Lo Scottish National Party, che Salmond ha lasciato in eredità alla nuova leader Nicola Sturgeon, quasi certamente straccerà i laburisti nella terra di Braveheart e sei mesi dopo il referendum sull’indipendenza perso per un soffio è il partito candidato a diventare stampella indispensabile di un possibile governo a guida Miliband.
Ma eccoci in casa Tory. Il più quotato e celebrato tra i conservatori è – ça va sans dire – il casco biondo Johnson. Già parlamentare tra il 2001 e il 2008, il sindaco di Londra ha deciso di riprovarci e tornare sul palcoscenico della Camera dei Comuni. Da tempo fatica a tenere a bada le voci che lo danno per successore di Cameron in caso di sconfitta dei Conservatori (essere preso in considerazione «è una cosa meravigliosa» ha infine ammesso dopo decine di tentativi di svicolare la domanda). Amato per il suo carisma, l’eccentricità, l’insofferenza per il politically correct a tutti i costi, Johnson potrebbe vedersi sbarrata la marcia verso la leadership proprio per le sue caratteristiche, che ne fanno un Tory sui generis. Comunque vada, la nuova strada dopo la probabile elezione nel seggio di Uxbridge e South Ruislip (ovest di Londra) sarà comunque un successo. Se i Tory vinceranno, è molto probabile che per lui si apriranno le porte del governo. A novembre la fine del mandato come sindaco – sei mesi nel doppio ruolo – poi anche un possibile incarico come ministro del Commercio e dell’Industria. Poco male.Chi invece rischia il tutto per tutto è Nigel Farage. Il leader degli euroscettici dell’Ukip, che a Westminster ha solo due seggi (strappati l’anno scorso ai Conservatori), ha tentato per cinque volte di entrare nel tempio. Non c’è mai riuscito. E potrebbe fallire anche stavolta come candidato di South Thanet, nel Kent. «Quella di maggio potrebbe essere la mia battaglia più grande» ha scritto nel suo libro The Purple Revolution (La rivoluzione viola, ndr). Poi la previsione, confermata dai sondaggi: «Se prenderemo tra i 4 e i 6 seggi, c’è un rischio reale che il mio non sia fra quelli». Sarebbe una beffa. Dalle stelle alle stalle per il leader che ha terrorizzato finora laburisti e conservatori e che proprio nel suo libro si è detto pronto a lasciare la poltrona di grande capo in caso di sconfitta (salvo poi dichiarare di voler «guidare l’Ukip per altri vent’anni»). I suoi pochi seggi potrebbero comunque essere decisivi per la formazione di un eventuale governo, nel quale Farage strapperebbe un ruolo. Un destino completamente incerto. Tanto incerto quanto quello del vicepremier Nick Clegg. Osannato cinque anni fa come il leader dell’exploit dei liberaldemocratici entrati nel governo di coalizione con Cameron, potrebbe essere sconfitto nel seggio di Sheffield Hallam, Yorkshire mentre il suo partito, con una trentina di seggi, sarà probabilmente indispensabile nel nuovo esecutivo, di qualsiasi colore esso sarà. Praticamente tutto o niente.