il Fatto Quotidiano, 21 aprile 2015
Meriti e omissioni di Letta il Giovane. È stato sincero quando ha dato le dimissioni dal Parlamento, ma di quelle velenose allusioni sulla sua cacciata da palazzo Chigi ce ne facciamo poco
Letta che annuncia l’addio al Parlamento merita rispetto. Perché si tratta di un gesto assai poco frequente in un mondo (non solo politico) nel quale l’avvitamento alle poltrone rappresenta una priorità esistenziale. E perché, domenica sera a Che tempo che fa, annunciando il suo nuovo incarico all’Istituto per gli affari internazionali di Parigi, ha precisato: “rinuncio alla pensione e vivrò del mio lavoro”. Che è la sincera ammissione di ciò che la politica dovrebbe essere e forse non è stata mai: un servizio reso alla collettività e non una lauta rendita o peggio un affare. Meno apprezzabile la patina omertosa con cui l’ex premier ha cercato di occultare i numerosi interrogativi legati alla repentina cacciata da palazzo Chigi, un anno fa, ad opera di Matteo Renzi (e che infatti ha definito “una crisi molto inaspettata”). Di quel momento ci resta soltanto il gelido passaggio di consegne tra i due, con quella campanella che, si capiva, l’uscente avrebbe volentieri tirato sul muso del subentrante. Delle velenose allusioni (in puro stile dc) a House of cards e al rifiuto della politica “fatta d’intrighi” gradita invece a Renzi, ce ne facciamo poco. Un colpo di palazzo, poiché di questo si è trattato, non è l’affare privato di un sinedrio eterodiretto dal Quirinale, ma un problema di democrazia che merita trasparenza. Specie se uno dei due protagonisti ci ha scritto un libro sopra che leggeremmo volentieri senza doverci chiedere a ogni pagina: ma Letta con chi diavolo ce l’aveva?