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 2015  aprile 21 Martedì calendario

Rifugiati, un business anche per l’Italia. Nel mezzo miliardo stanziato per il triennio 2014-2016 emergono appalti truccati, amici sistemati e inchieste. E poi, ci sono delle associazioni che vanno in mare a recuperare questi disperati per lucrarci

Messa giù brutalmente: se non sembra esserci forza al mondo in grado di arginare il fenomeno dell’immigrazione selvaggia, questo avviene perché sul detto fenomeno è pieno di gente che mangia, in certi casi a livello di spuntino ed in altri a livello di indigestione. La torta vale 2 milioni di euro al giorno, ed è logico che allo sportello distribuzione fette ci sia la fila. Prima di qualsiasi considerazione storica, antropologica o altrimenti scientifica, c’è dunque da fare i conti con questa banale realtà: esiste un interesse incredibilmente diffuso affinché alla voce immigrazione tutto continui a funzionare così come fa, e finché si sarà in presenza di una rete così capillare di soggetti che a qualunque titolo hanno interesse a massimizzare il guadagno derivante dalla faccenda, anche solo pensare di poter risolvere il problema alla radice risulterà illusorio e velleitario. Perché il business degli immigrati è interclassista. Ne beneficiano tanto gli individui che si trovano in fondo alla catena alimentare quanto coloro che vi si trovano in cima. Ci lucrano gli scafisti e la manovalanza. Il tariffario reso noto ieri dai magistrati palermitani fa impressione: il prezzo medio pagato dai migranti per raggiungere la Libia da Paesi come l’Etiopia si aggira sui 5000 dollari; il viaggio verso l’Italia ne costa 1.500; l’organizzazione, previo pagamento di circa 400 euro, consente la fuga dai centri della Sicilia e allestisce il viaggio verso altri Paesi europei con l’ulteriore pagamento di circa 1.500 euro. Ma ci lucrano anche, più o meno direttamente, le istituzioni. Per citare una sola fattispecie, basti ricordare il mezzo miliardo di euro stanziato per il 2014-2016 dallo Stato e destinato ai progetti degli enti locali per il sostegno ai richiedenti asilo: soldi che in più di un’occasione – come testimoniato dall’inchiesta apparsa su questo giornale – finiscono a disperdersi in mille rivoli e se l’impatto sulle condizioni dei richiedenti asilo è quel che è, analogo discorso non può farsi per quello sulle tasche di chi quei soldi si trova a maneggiarli. Il business degli immigrati, poi, funge anche da ammortizzare sociale. Vale per tutti il luminoso esempio del celebre Cara di Mineo in Sicilia, nel cui libro paga abbondano inspiegabilmente parenti ed affini di svariati politici del posto. Ancora più esemplare la vicenda della coop 29 giugno e del suo dominus Salvatore Buzzi, assurti all’onore delle cronache con l’inchiesta mafia capitale: una società che aveva fatto dello sfruttamento intensivo dell’industria dell’accoglienza la propria ragione sociale al punto da spingere il capo ad augurarsi che per capodanno arrivassero «monnezza, profughi e bufere» onde lucrare maggiormente sulla più redditizia delle voci di bilancio, quella rispetto a cui «il traffico di droga rende meno». Il business degli immigrati ha persino il suo bravo indotto. Eloquente in questo senso la testimonianza resa pochi giorni fa resa al Tg4 da un militare della Marina secondo cui «ci sono delle associazioni che vengono ben foraggiate per andare in giro a recuperare queste persone», cioè gli immigrati sui barconi. Perché aspettare che gli immigrati arrivino da sé esponendosi a tutti gli incerti che ne derivano quando ci si può levare il pensiero ed andarseli a prendere direttamente? Un indotto che, infine, non può che essere fortemente consociativo: nel business dell’immigrazione risultano impegnate realtà che sono espressione delle più disparate aree politiche e che – miracoli della lottizzazione – convivono amabilmente senza pestarsi i piedi a maggior gloria della socializzazione degli utili. «L’emigrante», scriveva nel 1911 Ambrose Bierce nel suo Dizionario del Diavolo, «è un ingenuo convinto che un Paese possa essere migliore di un altro». Nel secolo intercorso, per l’emigrante potrà non essere cambiato niente. Lo stesso non può però dirsi per i vari soggetti riceventi, che un Paese migliore degli altri l’hanno trovato o per nascita o per elezione: il Paese che, sulla pelle dei disperati, consente allegramente di tirare su un mucchio dei quattrini alto così.