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 2015  marzo 31 Martedì calendario

Passato e futuro non esistono più. La Rete mette tutto al presente azzerando il tempo, come insegna la vicenda tragicomica del necrologio dello scrittore Chinua Achebe, ripostato sui social network la scorsa settimana, che ha spinto molti a credere (compresa Susan Rice) che l’autore nigeriano, scomparso due anni fa, fosse appena morto

Tutti ricordiamo (o possiamo ritrovare sul web) le immagini dei rapiti di un tempo, che tenevano in mano il giornale per dimostrare che nel giorno tale erano in vita: il giornale era il segno dell’attualità, “essere sulla prima pagina”, in francese, significa “essere all’ordine del giorno”. Un giorno, appunto, non di più, ecco la regola classica della notizia, e la misura dell’attualità, che è come la rosa di Ronsard. Adesso, sui social media, non è più così, come sottolinea The Atlantic di pochi giorni fa (ma potrebbe essere anche di due anni fa). E come ha dimostrato la vicenda tragicomica dell’obituary dello scrittore Chinua Achebe. Ripostato sui social network la scorsa settimana, ha spinto a credere che l’autore nigeriano, scomparso due anni fa, fosse appena morto. Su Twitter ci sono caduti in tanti, compresa Susan Rice, National Security Advisor della Casa Bianca. I lettori non badano alla data della notizia, ma a quella del commento, per cui se per ipotesi commentassi ora la caduta di Saigon chi legge dopo di me potrebbe convincersi che Saigon è caduta nella primavera del 2015. Soprattutto se chi legge è dotato dello stesso strepitoso anacronismo (per dirla non troppo alla buona) che ha indotto i concorrenti all’ Eredità a dire che Hitler è salito al potere nel 1948 (secondo Ilaria), nel 1964 (secondo Matteo), nel 1978 (secondo Tiziana).
Nel cuore della modernità, anzi, della iper-modernità (cosa è più moderno del web?) il tempo si azzera e assistiamo all’eterno ritorno di tutte le cose. Come accade su You Tube, dove video di decenni diversi convivono senza distinzioni. Diventano “nuovi” ogni volta che si caricano. Certo, non verrà mai il giorno in cui Ilaria, Matteo e Tiziana avranno letteralmente ragione, ma non è difficile pensare a un giorno in cui il cancellierato di Hitler, il rapimento di Moro e Tangentopoli saranno pressappoco sullo stesso piano, insieme alla caduta di Costantinopoli e alla deposizione di Romolo Augustolo, con un effetto di appiattimento della storia simmetrico all’appiattimento della geografia nella famosa immagine di Saul Steinberg del mondo visto dalla Nona Avenue di Manhattan.
Non sarebbe la prima volta nella storia. Gli uomini di quello che bizzarramente definiamo come “medioevo” non solo non hanno saputo di essere medievali, ma non hanno nemmeno mai immaginato una frattura tra il loro presente e la tradizione antica: Carlo Magno non pensava che il suo impero fosse davvero diverso da quello di Costantino. Sono stati i moderni (loro invece ben consapevoli di esserlo) che si sono sbizzarriti nel delineare un tempo aggressivo e progressivo, una attualità che è destinata a sparire per far posto ad altra attualità, una moda che è sempre in punto di morte. Un tempo pieno di storicizzazioni che consegnano il presente al passato e di rivoluzioni che fanno spazio all’avvenire.
Altri tempi. Già il postmoderno (40 anni fa, e sembra ieri) giocava sulla contemporaneità di tutto con tutto, e tutto è destinato a ritornare, persino (ciclicamente) i calzoni a zampa. Ora però siamo in una nuova fase, in cui la frase “ora però siamo in una nuova fase” appare sottilmente insensata. Non solo l’attualità diviene una mascherata di tutti gli stili e di tutte le epoche, come suggeriva il postmoderno (e prima di lui l’eclettismo e lo storicismo dell’Ottocento), ma letteralmente passato e presente si trovano sullo stesso piano. Lo storico tedesco Leopold von Ranke aveva detto che tutte le epoche sono ugualmente vicine a Dio, ed era parsa una sbruffonata. Adesso sono tutte ugualmente vicine al postatore, per il quale Napoleone e Porta Pia, Eisenhower e Westmoreland diventano contemporanei. Questo non è un risultato dell’ipertrofia storica, come nell’Ottocento e nel postmoderno, ma piuttosto di una scomparsa della storia. Dico “scomparsa” e non “fine”, perché il tempo continua a passare e a portare delle novità, malgrado il diverso avviso di Francis Fukuyama. Solo, è come se il passato restasse in rete, cioè (a ben vedere) smettesse di essere passato, e di fare storia. Da cosa dipende tutto questo?
Nel breve, indubbiamente, dal web, che non è un apparato di comunicazione destinato a trasmettere l’ultima notizia, ma un gigantesco sistema di registrazione in cui il nuovo viene immediatamente stoccato accanto al vecchio e al vecchissimo, creando una straordinaria fantasmagoria in cui tutto – gli eventi di oggi come quelli di dieci giorni fa o di diecimila anni fa – è presente: nessuno ha mai adoperato il web per accendere il camino, come avveniva con i giornali del giorno prima – un atto che rende meglio di ogni altro il senso dell’attualità.
Ma se veniamo alle strutture profonde, c’è qualcosa di ancora più decisivo. Sino a non molte generazioni fa il passato era lungo, ma non lunghissimo. Nei primi decenni del Settecento l’età della Terra era stimata a qualche migliaio di anni, e quando Napoleone, alla vigilia della battaglia delle piramidi, dice ai suoi soldati che loro che quaranta secoli di storia li guardano, dice ancora qualcosa di importante. Tuttavia negli ultimi due secoli le età della Terra si sono dilatate enormemente e veniamo ad apprendere che qualche migliaio di anni è, al massimo, l’età della scrittura, prima della quale ci sono state antichità sterminate: i quaranta secoli delle piramidi sono preceduti da mille secoli di vita nella valle del Nilo, che le hanno preparate, e questi da trentamila secoli in cui si è sviluppata la socialità umana. Poco più che uno sbadiglio rispetto al milione di secoli in cui si è sviluppata la socialità delle termiti, che a loro volta erano sorte su una terra già decrepita.
Il passato non ha più, per così dire, un volto umano, è talmente lungo da superare l’immaginazione e la curiosità, e il presente si impone come tutto quello che c’è, azzerando il futuro (avete notato che la fantascienza è in declino?). Questa è la teoria, che il web mette in pratica. Il fatto che sui social network un evento incominci a far data nel momento in cui ha un commento la dice lunga a questo proposito. Il parere del postatore conta più della notizia (anzi, è la notizia: il commento è datato con scrupolo paranoico: giorno, ora, minuto). Nel momento in cui il presente dispiega tutto il suo “inaudito privilegio” (come diceva Husserl, non sapendo quanto aveva ragione), è fatale che ci si senta infinitamente più importanti di ciò che è accaduto nel passato, prossimo o remoto. Si arrangino le Piramidi, si arrangi Alessandro Magno, e soprattutto chi se ne frega delle nevi di una volta, io ho 1000 richieste di amicizia e 1000 follower!