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 2015  marzo 30 Lunedì calendario

«Visito i piloti, in troppi sono sotto stress». Lo specialista francese che va a caccia delle anomalie tra il personale di bordo: «Turni massacranti e rotte ripetitive, sognano i grandi viaggi si ritrovano autisti di bus»

Samy Mekhloufi, 51 anni, è medico del lavoro all’aereoporto Saint-Exupéry, a Lione. Le compagnie gli mandano piloti, copiloti e assistenti di volo per i controlli regolari, «ma io sono totalmente indipendente, non sono assunto da nessuno, per questo ho la libertà di parlare», spiega.
La salute mentale dei piloti oggi è al centro dell’attenzione. Vede molti casi di piloti depressi o in difficoltà?
«In un anno visito circa 400 persone che lavorano sugli aerei a corto o medio raggio, che partono da Lione, non mi occupo delle rotte a lungo raggio. Su questi 400, ne trovo una decina esausti da un punto di vista psicologico, e la metà di questi sono piloti o copiloti».
È un numero in crescita?
«Senza dubbio, chi ha la responsabilità di un aereo è sempre più stressato, perché i posti di lavoro sono pochi, le richieste delle compagnie sono sempre più pressanti, le aspettative molto lontane dalle realtà. C’è una fatica enorme che non è compensata dalle soddisfazioni: la tipica situazione che porta al burn out, che è l’espressione di moda per indicare chi non ce la fa più».
Lei come individua le persone a rischio?
«Credo di avere sviluppato una certa abilità nel capire le persone, è il mio lavoro. Il punto di partenza comunque sono i classici questionari, chiedo di dare un voto da 1 a 10 all’umore, all’appagamento professionale... È l’occasione per cominciare a parlare dei problemi».
E ha la sensazione di ottenere delle risposte sincere?
«I piloti sono di solito persone responsabili. Non vogliono mettere in pericolo la vita di nessuno. Ma ci può essere qualcuno che tende a nascondere il disagio perché ha il terrore di perdere il posto. Io cerco di scrutare qualche segnale, da una variazione importante di peso alle assenze ripetute dal lavoro. Faccio domande sulla vita famigliare, sui matrimoni, i divorzi».
Che succede quando il pilota non supera la sua visita?
«Gli prescrivo dei giorni di riposo e invio subito il provvedimento alla compagnia aerea, senza scendere nei particolari perché c’è il segreto che lega medico e paziente. La compagnia lo lascia a terra».
Si può fare una differenza tra voli a lungo raggio e le brevi tratte europee?
«Le condizioni di lavoro sono peggiorate per tutti. L’epoca d’oro del comandante che vola a Rio e poi resta quattro giorni in piscina è finita. Ma è ancora più dura per i piloti delle tratte brevi, perché accumulano la tensione di continui decolli e atterraggi. Sognavano di girare il mondo, hanno faticato anni per ottenere il brevetto, e finiscono per fare Lione-Milano o Lione-Birmingham quattro volte al giorno. “Come un autista di bus”, dicono».
Il disagio riguarda tutte le fasce di età?
«Mi sembra che i giovani soffrano di più, a 40 anni sono stremati. Alcuni cercano lavoro in Cina o alla Emirates, l’unica che oggi assume. Gli ex militari, i piloti di caccia che si sono già tolti delle soddisfazioni, a fine carriera vogliono volare ancora per qualche anno, mi sembrano più solidi».
Il ruolo delle famiglie?
«Possono aiutare a dare l’allarme se qualcuno riesce a passare attraverso le maglie dei controlli. Ma i piloti più in difficoltà spesso sono proprio quelli che non hanno più il “perimetro di sicurezza”, quello degli affetti. Magari hanno divorziato perché conducono vite difficili, senza orari. Il burn out può toccare chiunque, non esistono persone equilibrate, siamo tutti equilibristi. Solo che se è un pilota a cadere, senza rete di protezione, le conseguenze sono più gravi».