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 2015  marzo 30 Lunedì calendario

«Ricercatori, basta lagne: fate scienza e divertitevi!». Intervista a Edoardo Boncinelli, uno degli scienziati più famosi d’Italia, scopritore dei geni “architetto” che rivela: «I baroni mi hanno bocciato ai concorsi da prof. E ora sogno il premio Nobel...»

È nato con un dente e i capelli lunghi e biondi («diceva mia madre e sa, con le madri bisogna avere pazienza...») Edoardo Boncinelli, uno degli scienziati più famosi d’Italia, scopritore dei geni «architetto», 73 anni, una laurea in Fisica, quarantaquattro libri alle spalle, fiorentino nato a Rodi e trapiantato prima a Napoli e poi a Milano.
Bravi scienziati si nasce o si diventa?
«Di sicuro non ci si improvvisa. La testa che funziona è importante, però devi anche essere preparato».
E come ci si prepara?
«Primo, bisogna studiare. E poi tenersi sempre al corrente di quello che succede nel mondo. Ecco, per me la fatica maggiore in quarant’anni di mestiere è stata questa, perché il mondo è pieno di ricercatori e di notizie più o meno importanti, ma che possono essere determinanti per farti venire una certa idea».
Che altro c’è di faticoso?
«Pensare in continuazione gli esperimenti che si possono fare, con le tecnologie e le risorse del momento: cose belle e fattibili. Però la fatica non la sentivo nemmeno, per la gioia grande che provavo a scoprire e imparare cose nuove ogni giorno».
Allora uno scienziato si diverte?
«Assolutamente. Non rimpiango nulla, consiglierei a chiunque questa vita: ti dà soddisfazioni uniche».
Non vive chiuso in laboratorio?
«Da giovane sì, all’inizio ci stavo dodici ore al giorno, sabato e domenica compresi. Poi, con gli anni, quattro o cinque ore, e il resto del tempo ero in giro per il mondo, o al telefono».
Era un secchione?
«Da ragazzo no, ho fatto un liceo trionfale senza studiare. Però all’università dovevo studiare per forza, ho faticato molto molto. Anche perché ho fatto di tutto, leggevo, dipingevo ceramiche, ho girato un film, ho fatto semantica strutturale...».
Ha studiato Fisica, ma poi è diventato un biologo molecolare.
«Sì, subito dopo la laurea a Firenze ho visto questo annuncio per una borsa di studio in biologia molecolare a Napoli. Ho pensato: “Resterò sei mesi”. Sono rimasto ventitré anni».
Se dico «moscerino» a che cosa pensa?
«L’amore della mia vita dopo mia moglie. Detto così, uno non può immaginare, sembrano solo dei piccoli oggettini marroni, ma al microscopio sono meravigliosi, coloratissimi, gli occhi rossi, il corpo giallo, le zampette, le alucce... Chiudo gli occhi e ancora la vedo, la drosofila, e mi viene un tuffo al cuore».
Sembra tutto bellissimo, ma i ricercatori si lamentano sempre di quanto sia dura la vita nelle università italiane...
«Il mestiere di ricercatore è il più bello del mondo, per chi ci è inclinato. Certo, in altri Paesi può essere meglio, ma è una soddisfazione anche andare avanti nonostante tutto. E fino a che stavo nel mio laboratorio ero il più felice del mondo: soddisfi la tua curiosità, ti diverti e ti pagano pure».
E le lamentele dei ricercatori?
«Sono relative. Cioè, appena guardi gli altri ti viene una morsa al cuore, ma se non li vedi... E se uno si applica e si impegna può fare bene anche qua, i soldi sono pochi, ma ci sono».
E le critiche alla politica che non dà aiuti alla scienza?
«Quelle non sono relative: è una delle cose più vergognose di questo Paese, che non ce l’ha con la scienza, ma non gliene frega assolutamente nulla. E quindi i politici non hanno mai fatto nulla».
Ma come mai secondo lei?
«Se sente parlare di scienza da un italiano medio capisce: c’è un totale disinteresse o disprezzo. E così è per i politici. Che poi, appena uno ha qualcosa corre dal dottore, appena esce un cellulare nuovo lo compra subito. È come con i soldi: tutti ne parlano male, ma tutti li vogliono».
Però i festival di scienza vanno alla grande.
«Sì, è una specie di paradosso. Io di festival ne ho frequentati e fondati, e alla fine ho capito: è la predica laica della domenica. La gente ci va per stare meglio. Del resto i veri scienziati non li conosce nessuno».
In che senso scusi?
«I veri scienziati non parlano mai, perché se bisogna parlare di scienza fanno parlare i filosofi... una cosa ridicola. E di molti non si sa nemmeno il nome. Io sono diventato famoso solo quando ho iniziato a dare interviste e a scrivere».
Qualche nome di veri scienziati?
«Pelicci, che sta allo Ieo, però tutti parlano solo di Veronesi, come se le scoperte le facesse lui. Cossu, a cui è toccato emigrare in Inghilterra. E la Bozzoni, che sta a Roma e fa una cosa complicatissima: studia la biologia dell’Rna, il cugino povero del Dna».
Qual è la differenza fra scienziato e medico?
«Il medico deve guarire. Se ha voglia è anche uno scienziato, ma non è obbligato».
Guadagna di più?
«Direi...».
È vero che avrebbe voluto fare il medico?
«Eh, me ne sono accorto tardi. Però ci sono scienziati medici, per esempio Alberto Mantovani».
Lei ha avuto la prima cattedra universitaria...
«...a 59 anni. Al San Raffaele».
Un’università privata.
«Esatto. Però sa, i concorsi sono nazionali. E io ne ho falliti ben due, nell’85 e nel ’92».
E perché l’hanno bocciata?
«Non rientravo nei calcoli dei baroni. Sia chiaro, tutti parlavano bene di me, ma al momento di votare... Nel ’92 mi hanno bocciato per la cattedra di biologia molecolare a Verona e l’anno dopo mi hanno nominato presidente della Società di biologia molecolare. Quando lo racconto agli stranieri si schiantano dal ridere».
Si saranno pentiti.
«Ma che pentiti. Hanno pure motivato: “Vabbè, tanto tu vai avanti lo stesso”».
Come si trovava al San Raffaele?
«Bene. Don Verzé mi adorava. Anche se non mi ha mai chiesto un consiglio».
Ma la scienza può spiegare tutto?
«Nulla può spiegare tutto. Però ci si può avvicinare sempre di più alla spiegazione».
Un esperimento che avrebbe voluto fare e non ha fatto?
«Ho avuto un culo pazzesco, devo dire. Li ho fatti tutti».
Ha detto: «Io gli intellettuali li odio». Perché?
«Mi stanno sulle scatole, sono presuntuosi. Se leggo un articolo di un intellettuale mi viene il voltastomaco».
Facciamo un nome?
«Scalfari, per esempio. Gli intellettuali sono persone che hanno ricevuto un’istruzione superiore alla loro intelligenza».
E non se ne sono accorti?
«No. E così se la tirano, si danno arie incredibili. Hanno uno spazio immeritato nella cultura perché dicono quello che piace alla gente. Ma non puoi dire sempre quello che vuole la gente, lo diceva pure Manzoni».
Manzoni invece le piace?
«Molto, sì. Davo ripetizioni e ho letto i Promessi sposi una ventina di volte, lo sapevo anche a memoria».
Altri autori?
«Leopardi, Dante su cui sto scrivendo un libro per i 750 anni, Shakespeare, Petrarca, Boccaccio, Montale. E poi i lirici greci che ho tradotto tutti: ci ho messo cinque anni, lavorando di notte e alla domenica mattina».
E la fantascienza le piace?
«A vent’anni ne ho letta tanta: mi ha vaccinato contro l’idea che ci sia un sistema politico perfetto».
Ma prende tutto seriamente?
«Sì sì. Mia moglie mi prende in giro. A parte mangiare bene ho un unico lusso: prima le cravatte, oggi le sciarpe. Mi piacciono estrose, colorate».
La sua autobiografia si intitola Una sola vita non basta. Perché?
«Ne ho fatte tante, scienziato, pittore, psicoterapeuta, traduttore, poeta, strutturalista».
Che cosa le è mancato?
«Purtroppo la musica, è il mio più grande rimpianto. Ho provato il violino, il piano, la chitarra, niente: non era per le mie dita».
Un sogno proibito?
«Il mio sarebbe di fare tutto quello che ho fatto, ma di avere anche un Nobel. Però non sono ancora morto...».
È un genio incompreso?
«No no, ho ricevuto parecchi complimenti. Però potevano darmi un po’ più lustro, farmi conoscere di più. Pazienza. Sa, a uno non basta mai».
Nei suoi libri parla sempre anche di Dio.
«Non me ne preoccupo: se non c’è non è importante, se c’è sono sicuro che saprà comportarsi da signore».
E allora perché lo cita così spesso?
«Perché alla gente piace. C’è sempre la domanda su Dio. E poi ci ho pensato, ci penso, so che non è conoscibile, però la gente ne parla in continuazione».
Parla anche di anima.
«Sì, anche di anima, ma con lei sono meno tenero».
L’anima le piace meno?
«È palese che l’anima non ci sia, invece Dio chissà, forse un giorno lo incontrerò, lo saluterò...».