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 2015  marzo 30 Lunedì calendario

Siamo all’ultima chiamata per la spending review. Domani scade il termine per individuare i tagli su Comuni, Province, esuberi e partecipate. L’obiettivo: sei miliardi di euro di risparmi

Al ministero dell’Economia gira a pieno regime la macchina di preparazione del Def, il Documento di economia e finanza che dovrà disegnare il futuro prossimo dei conti e fissare i nuovi obiettivi della spending review. Il piano del Governo dovrà quanto meno indicare la strada per disinnescare i 16 miliardi di clausole di salvaguardia che altrimenti si tradurrebbero in aumenti fiscali dal prossimo anno. Nella fatica continua della finanza pubblica italiana, però, le misure in cantiere si incrociano con quelle già arrivate in «Gazzetta Ufficiale», che valgono oltre sei miliardi ma sono ancora da attuare. Prima che al futuro prossimo, e al lavoro dei “nominandi” nuovi commissari alla spending review Yoram Gutgeld e Roberto Perotti, bisogna dunque guardare al domani: inteso in senso letterale, come martedì 31 marzo.
Domani arrivano infatti a scadenza le partite più importanti per Comuni e Province. Ai sindaci, la legge di stabilità approvata a dicembre chiede 1,2 miliardi di tagli aggiuntivi, da distribuire secondo un meccanismo che leghi almeno un quinto delle risorse ai «fabbisogni standard» approvati a suo tempo dalla Sose. Governo e Comuni hanno avviato due settimane fa il confronto sui parametri, e l’appuntamento di questa settimana dovrebbe servire appunto a chiudere i conti. Impresa non facile, anche perché sull’orizzonte dei bilanci comunali pesano ancora le incertezze del decreto enti locali, previsto insieme al Def ed essenziale per approvare i bilanci, e la replica del Fondo Tasi da 625 milioni che l’anno scorso ha dato una mano a circa 1.800 enti locali.
Un martedì ancora più complicato attende Province e Città metropolitane. Anche per loro, dovrebbe arrivare la distribuzione del taglio da un miliardo assestato dall’ultima manovra, ma soprattutto gli enti di area vasta dovrebbero pubblicare l’elenco degli «esuberi» da ricollocare in altri settori della Pubblica amministrazione oppure da accompagnare verso l’uscita con le regole pre-Fornero entro la fine del 2016. Una parte finirà all’amministrazione centrale (venerdì il consiglio dei ministri ha dato il via libera alla riorganizzazione che porterà mille ex provinciali nelle cancellerie dei tribunali), ma il problema è rappresentato dagli spostamenti verso Comuni e Regioni. Solo la Toscana, finora, ha approvato la propria legge regionale sul riordino delle competenze, e senza un panorama preciso delle nuove competenze la sfida è complicata, tanto più che le Province devono dimezzare in valore la propria dotazione organica mentre le Città metropolitane devono ridurla del 30 per cento. In qualche Città si proverà a chiudere questa prima partita inserendo nell’elenco delle “eccedenze” quei settori del personale per i quali il destino sembra un po’ più chiaro: si tratta, in particolare, della polizia provinciale, che secondo il Governo sarà oggetto di razionalizzazione insieme agli altri corpi della sicurezza locale, e dei dipendenti che lavorano nei centri per l’impiego, chiamati a confluire nell’Agenzia nazionale prevista dal Jobs Act. Anche in questo caso resta il problema dei tempi, perché questo personale rischia di rimanere comunque in carico alle Province fino a quando le prospettive di riordino non saranno attuate davvero. Anche i quattro miliardi di tagli imposti alle Regioni sono ancora in rampa di lancio, al punto che il Governo progetta un nuovo decreto (come affermato dallo stesso ministro Beatrice Lorenzin nell’intervista sul Sole 24 Ore di sabato scorso).
Ma c’è anche un’altra scadenza nel ricco carnet di domani, che oltre a Comuni, Province e Regioni riguarda università, camere di commercio e autorità portuali. Tutti questi enti dovrebbero inondare le varie sezioni regionali della Corte dei conti con i loro «piani di razionalizzazione» delle società partecipate, chiesti dall’unico capitolo del piano Cottarelli rimasto nella legge di stabilità. Questa mossa non è “cifrata” dalla manovra, ma l’ex commissario Cottarelli aveva stimato in almeno «tre miliardi in tre anni» i risparmi possibili con le misure taglia-società, che si concentrano su «scatole vuote» (le società con più amministratori che dipendenti), i «doppioni» (le aziende dello stesso ente attive in campi analoghi) e le società «non necessarie» per i fini istituzionali dell’ente proprietario. Tutto lascia pensare, però, che questa “rivoluzione” non ci sarà, almeno nell’immediato: il sistema è in ritardo, e le Linee guida di Invitalia per aiutare le amministrazioni a costruire i piani di razionalizzazione sono appena apparse (si veda Il Sole 24 Ore di venerdì scorso). L’obiettivo massimo, per queste settimane, non può quindi andare oltre a un primo sommario censimento delle intenzioni degli enti.
Le partecipate, quindi, torneranno presto a figurare nei lavori dei nuovi commissari alla spending review, insieme ai costi standard e alla revisione degli sconti fiscali: tutte parole d’ordine alla ribalta ormai da anni.