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 2015  marzo 30 Lunedì calendario

Nelle carceri italiane l’allarme jihad: 53 detenuti nel mirino. L’Amministrazione penitenziaria ha alzato il livello di controllo dei sospetti. I dubbi degli investigatori su un tunisino che a febbraio ha chiesto di essere espulso

Delle decine di espulsioni di sospetti jihadisti dall’Italia – 26 dalla fine di dicembre – quella di Khalil Jarraya è a dir poco la più”curiosa”, sulla quale l’intelligence ha continuato le sue verifiche, soprattutto dopo la strage al museo Bardo di Tunisi. Perché questo 46enne tunisino, detto il”colonnello” per i trascorsi di combattente nelle milizie bosniache dei”mujihaddin” durante la guerra nella ex Jugoslavia, ha chiesto lui stesso di essere espulso. E lo ha fatto come misura alternativa al residuo di pena che stava scontando nel carcere di Rossano per terrorismo internazionale. E così, a metà febbraio, il capo della cellula jihadista scoperta nel 2007 dalla Digos di Bologna, ha fatto i bagagli e, dal carcere di Rossano, è stato accompagnato alla frontiera per essere dato in consegna alle autorità tunisine.
IL SOSPETTO
Esiste un qualche collegamento tra il”colonnello” e la strage di 22 persone del 18 marzo scorso? Gli accertamenti sono in corso. A quanto pare, la procura di Catanzaro avrebbe autorizzato l’ascolto delle telefonate che, legittimamente, dal carcere, il colonnello poteva effettuare ma che, trattandosi di un detenuto in alta sicurezza, per prassi erano state registrate e conservate. Nel suoi colloqui Jarraya ha forse lanciato qualche messaggio in codice? Quel che è certo è che dal 7 gennaio scorso il Nucleo investigativo centrale (Nic) dell’Amministrazione penitenziaria ha innalzato, e di molto, il livello di monitoraggio nelle carceri italiane. Perché il giorno stesso della strage nella redazione del settimanale Charlie Hebdo diversi detenuti di fede islamica avrebbero inneggiato. Non il duro Jarraya, bensì detenuti per reati comuni che però – come è stato anche per l’attentatore di Parigi Amedy Coulibaly – in carcere possono essere venuti a contatto con fomentatori d’odio inneggianti alla jihad.
I DATI
Da allora il Nic ha iniziato un attento monitoraggio su 53 detenuti, provenienti dal Medio Oriente o dall’area magrebina, di cui 12 stanno scontando pene per reati di terrorismo internazionale. Tra questi, fino alla sua recente espulsione, anche Jarraya, trasferito nel 2012 dal carcere sardo di Macomer (poi chiuso) in quello calabrese di Rossano. Il”colonnello” era in regime di alta sicurezza, vale a dire in cella singola con la possibilità di passeggiare per l’ora d’aria solo con un ristretto gruppo di detenuti, sempre gli stessi, scelti preventivamente. A Rossano si trova anche la maggior parte dei dodici condannati per terrorismo internazionale. Per loro e per gli altri”comuni” monitorati dal Nic è scattato il controllo stringente delle comunicazioni e della corrispondenza. Per quindici soltanto”attenzionati”, invece, il Nic segnala al Comitato di analisi strategica antiterrorismo ciò che può apparire sospetto, come ad esempio articoli di giornali o scritte inneggianti l’Isis.
LA FEDE
Lo sforzo è enorme. Su 53mila detenuti nelle carceri italiane si calcola che circa 10mila siano di fede islamica, di cui ottomila praticanti. Anche per questo, negli ultimi anni, il ministero della Giustizia ha mostrato maggiore attenzione alle loro esigenze. Perché – per dirla col Guardasigilli Orlando – «bisogna assicurare il diritto di culto negli istituti per evitare l’effetto boomerang come Guantanamo».