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 2015  marzo 30 Lunedì calendario

Rossi, Dovizioso e Iannone. Potere italiano. Sul podio anche due Ducati, nessuna Honda e nessuno spagnolo. È il mondo sottosopra. E le parole di Vale lo raccontano bene: «Una delle gare più belle della mia carriera»

Così bello che è quasi troppo. Valentino trionfa, Dovizioso gli arriva appeso agli scarichi dopo un duello epico, Iannone infila Lorenzo e conquista il suo primo podio in MotoGp. Potere italiano, la Ducati rinata, nessuna Honda sul podio. È il mondo sottosopra, come in un sogno, meglio di un sogno. E le parole di Rossi, appena sceso di sella, lo raccontano bene: «Una delle gare più belle della mia carriera». Non a caso, subito dopo il traguardo, l’ha sigillata sporgendosi dal cupolino e baciando la M1 come fece a Welkom nel 2004, quando vinse la sua prima gara in Yamaha e entrò per sempre nella leggenda. Ora non siamo a quei livelli ma nei dintorni, perché certe imprese a 36 anni, dopo venti passati in sella, può farle solo un dio della motocicletta.
Decimo in griglia fra mille dubbi, anche suoi, Valentino ha ridotto il gap tecnico con gli ultimi ritocchi nel warm up e, dopo una partenza difficile, ha fatto la punta alla Yamaha M1 per disegnare il capolavoro con classe, pazienza e ferocia. Perfetto lui, «perfetta la moto» e perfetto lo scenario, con Marquez fuori dai giochi subito, dopo un contatto con Smith. Dall’ultimo posto, MM sarebbe risalito al quinto, davanti al disperato valletto Pedrosa frenato da troppi problemi fisici («ho consultato tutti i medici possibili, non posso operarmi alle braccia, in queste condizioni non posso andare avanti» spiegherà a fine corsa uno scoraggiato Dani), ma non dando mai l’impressione di poter tornare sui primi. Se è un caso o un segnale per il futuro, lo vedremo in Texas.
Così i protagonisti sono stati altri: Lorenzo, che ha provato invano la fuga ma è finito quarto, e le due meravigliose Ducati di Dovizioso e Iannone. Se Valentino per vincere ha dovuto distillare il meglio di una carriera, il merito è stato anche loro. Soprattutto, di Dovizioso. Lui era l’uomo in pole, lui è stato quello scattato in testa e mai sceso sotto il secondo posto: un martello, preciso, costante, con traiettorie strette che facevano strabuzzare gli occhi a chi ricordava la Desmosedici selvaggia. Ma quella era un’altra vita. Dovi ha attaccato, ha dato spettacolo, carena contro carena prima con Lorenzo, poi con Valentino. Gli ultimi tre giri poi sono stati da panico. Rossi passa Dovi che passa Rossi che passa Dovi. Se non li avesse fermati la bandiera a scacchi, sarebbero ancora lì a darsele, per vincere sì, ma anche solo per passione. «L’ultimo giro – racconterà Vale – neanche me lo ricordo. Ma è stato fantastico». E Dovizioso, che ha perso di niente, alla fine era comunque felice come un bambino: «Ci siamo presi a carenate, è stato bellissimo, erano anni che non lo facevo... Sapevo che avrei dovuto arrivare davanti all’ultimo giro, perché se io ero più veloce in rettilineo, Vale lo era nei tratti guidati. Peccato, ho annusato la vittoria, ma va bene così».
Diversi nel carattere – l’uno personaggio, l’altro fiero della sua riservatezza – ma simili per l’inflessibile etica del lavoro, Valentino e Andrea non si amano ma si stimano, vivono per la moto e ieri hanno dato due lezioni potenti. Rossi ha dimostrato che è sempre Rossi, anche nell’orgoglio: poteva accettare di perdere da quella Ducati con cui ha vissuto il peggiore periodo della carriera? Dovizioso ha ricordato a tutti che grande pilota è e ha dimostrato che la nuova Rossa, costruita anche sulle sue indicazioni dopo due anni bui, è nata pronta. Divisi ma uniti, hanno scritto in una notte una storia indimenticabile.