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 2015  marzo 30 Lunedì calendario

Una legione straniera per combattere l’Isis? Può sembrare un paradosso ma avrebbe bisogno di una patria e l’Europa, per il momento, può soddisfare questa esigenza

La sua risposta su un futuro esercito europeo mi fa pensare che se ne discuterà ancora per anni prima di una decisione. Un proverbio dice: a mali estremi, estremi rimedi. Non c’è dubbio che l’Isis sia un male estremo; sugli estremi rimedi le democrazie occidentali non riescono a trovare una strategia che possa essere efficace. Agire velocemente è una arma essenziale: perché non usare, in attesa di un esercito europeo, un esercito che esiste già, preparato e organizzato, la Legione straniera? Perché non assegnare loro il compito di liberare le coste del Nord Africa, in particolare quelle libiche? È un «estremo rimedio» ma a mali estremi...
Angelo Tirelli

Caro Tirelli,
Le Legioni straniere sono un sottoprodotto della storia coloniale delle potenze europee. Le prime formazioni britanniche composte da gurkha nepalesi risalgono al 1815, un periodo nel corso del quale la Gran Bretagna si preparava a completare il suo controllo dell’immenso territorio indiano. La Legione straniera francese nacque nel 1831, pochi mesi dopo l’occupazione dell’Algeria. La Legione straniera spagnola (nota anche come il «Tercio de extranjeros» ) fu creata nel 1921 mentre la Spagna doveva fare fronte a una grande rivolta marocchina.
Queste forze non sono destinate in linea di principio a operare sul territorio nazionale e a difendere la patria contro uno dei suoi tradizionali nemici. Sono lo strumento di cui un impero coloniale si avvale per ampliare i suoi possedimenti o tenere a bada i suoi sudditi. Per incoraggiare il reclutamento, il «datore di lavoro» è disposto a chiudere un occhio sul passato delle reclute. I volontari che entrano nella Legione non sono cittadini, ma lo Stato per cui combattono è pronto a premiarli con la concessione della cittadinanza, alla fine della ferma, se saranno stati coraggiosi e disciplinati. Per molti aspetti le ragioni dell’impiego di queste milizie sono semplici. Se vi sono circostanze in cui è meglio evitare l’impiego di forze nazionali e se il servizio militare è malvisto, una forza composta da stranieri può essere la migliore delle soluzioni possibili.
Più recentemente, caro Tirelli, abbiamo assistito a nuove «legioni straniere». Sono le società private di sicurezza utilizzate in alcune vicende africane dall’Angola alla Sierra Leone. La più importante e temibile («Executive Outcomes», composta soprattutto da Sud Africani) è apparsa nuovamente in Nigeria dove sta combattendo Boko Haram con buoni risultati. In Iraq questi «contractors», come sono abitualmente chiamati quelli impiegati dagli Stati Uniti, vengono usati soprattutto per proteggere edifici pubblici e scortare trasporti militari.
Qualche anno fa, quando era ministro della Difesa nel governo Berlusconi, Antonio Martino disse che la prospettiva di una Legione straniera italiana non lo avrebbe scandalizzato. Probabilmente sarebbe stata composta soprattutto da albanesi, un popolo cha ha accumulato una considerevole esperienza militare al servizio dell’Impero Ottomano. Potremmo dire altrettanto di una Legione straniera europea? L’affidabilità di queste formazioni militari dipende, oltre che dalla qualità dell’addestramento, dallo spirito di corpo, vale a dire da un valore che è tanto più alto quanto più il legionario ha la sensazione di combattere per un Paese che ha una grande tradizione militare e civile. Paradossalmente, quindi, anche una Legione straniera ha bisogno di una patria. Non credo che l’Europa, per il momento, possa soddisfare questa esigenza. Ma qualche prima iniziativa potrebbe essere presa nel Mediterraneo, dove esistono ormai le condizioni per una guardia costiera europea a presidio della nostra comune frontiera meridionale.