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 2015  marzo 30 Lunedì calendario

Le lobby di Google, Facebook e Twitter alla Casa Bianca. Le regole del web si stanno facendo più rigorose. E così la Silicon Valley è iperattiva a Washington. L’ultimo entrato nello staff di Barack Obama è il ventottenne David Recordon, appena nominato direttore dell’Information technology della Casa Bianca con la missione di rendere più efficiente il modo in cui la tecnologia è usata dallo staff del presidente degli Stati Uniti

Google, Facebook, Twitter: una volta erano il simbolo della Silicon Valley libertaria e lontana dai «palazzi» del potere politico, intenta solo a sviluppare il proprio business con algoritmi sempre più sofisticati. Ora hanno capito che per crescere devono non solo sapersi districare bene nei corridoi dei palazzi: è meglio se li conquistano.
Avamposti
Così da un po’ di tempo hanno creato avamposti strategici nel cuore della politica americana, aprendo uffici nella capitale, Washington DC e investendo milioni di dollari in lobbismo; riuscendo anche a piazzare propri uomini dentro la Casa Bianca.
L’ultimo entrato nello staff di Barack Obama è il ventottenne David Recordon, appena nominato direttore dell’Information technology della Casa Bianca con la missione di rendere più efficiente il modo in cui la tecnologia è usata dallo staff del presidente degli Stati Uniti. Nato a Portland, in Oregon e laureato al Rochester institute of technology, Recordon lavorava a Facebook come «Engineering director», ma aveva già collaborato con il governo per Us digital service, un progetto per migliorare l’impiego della tecnologia nella pubblica amministrazione. Una sua passione – a parte la birra e il barbecue, come si intuisce dalle sue uscite sui social network – è lo sviluppo delle tecnologie «aperte» per Internet.
Proprio quella per l’Internet aperto e libero è stata una delle maggiori battaglie politiche che le dot.com hanno ingaggiato, riuscendo a far approvare il mese scorso le nuove regole sulla net neutrality. Per fare lobbismo su questo e altri temi caldi, come la privacy degli utenti, Facebook, solo nel 2014, ha speso 9,34 milioni di dollari, contro i 210 mila dollari nel 2009, il primo anno di presidenza di Barack. Intanto ha costruito una squadra di lobbisti di alto livello, guidata da Joel Kaplan, 44 anni, ex vice capo dello staff della Casa Bianca di George W. Bush. Ora Kaplan si occupa delle relazioni con i governi di tutto il mondo, non più solo di quelle con il governo Usa, perché dallo scorso ottobre è stato promosso capo della politica globale di Facebook.
Ma il numero uno della Silicon Valley per il suo peso a Washington è Google: non ci aveva messo piede fino al 2005, poi ha dovuto attrezzarsi per rispondere alle accuse di monopolio e a un’inchiesta dell’Antitrust.
Per questo ha più che quadruplicato la sua spesa in lobbismo da 4 milioni di dollari nel 2009 a quasi 17 l’anno scorso; ha aperto un ufficio di 5.400 metri quadrati a due passi da Capitol Hill (la sede del parlamento) dove opera un’agguerrita squadra di lobbisti capitanata dalla newyorkese 57enne Susan Molinari, ex deputata Repubblicana. E una top manager di Google, Megan Smith, cinquanta anni, è diventata dallo scorso settembre la
nuova zarina della tecnologia alla Casa Bianca, con l’incarico di chief technology office.
Insieme a lei, come suo vice, Obama ha scelto un altro esponente della Silicon Valley: Alexander Macgillivray, 43 anni, capo dell’ufficio legale di Twitter e anche lui ex Googler, famoso per le sue lotte in difesa della libertà di parola su Internet. Ma Twitter ha una presenza ancora limitata a Washington: l’anno scorso ha speso appena 310 mila dollari in lobbismo e solo dal 2013 ha aperto un ufficio con un paio di lobbisti, William Carty, ex direttore politico per i Repubblicani della Commissione commercio del senato e Maryam Mujica, ex dirigente del Dipartimento di Stato sotto Obama.
Amazon.com invece ha quasi triplicato gli investimenti in lobbismo negli ultimi cinque anni, da 1,8 a quasi 5 milioni di dollari, di pari passo con l’espansione delle sue attività, che oggi comprendono servizi nella «nuvola» anche per la Cia e la creazione di una flotta di droni per consegnare le merci, la cui praticabilità però dipende da come i voli di questi apparecchi saranno regolamentati. Il team di lobbisti di Amazon.com è di una trentina di persone, a cui si è aggiunta una delle facce più note della Casa Bianca: Jay Carney, il portavoce di Obama dal 2011 al 2013. Ora Carney si occupa delle relazioni pubbliche e della «politica», alle dipendenze di Jeff Bezos.
Un altro pezzo grosso dello staff di Obama passato a lavorare per una startup è David Pouffe, 47 anni, il manager della campagna elettorale di Obama nel 2008 e capo dei suoi consulenti fino al 2013: lo scorso agosto Uber l’ha nominato manager della «campagna» per ottenere le autorizzazioni necessarie a operare in tutte le città americane, dove la dot.com è osteggiata dalle lobby dei tassisti e da alcune autorità locali.
Più regole
Perfino Apple, che sotto Steve Jobs si era tenuta più alla larga possibile da Washington, ha dovuto incrementare il suo impegno nella capitale: «solo» 4,1 milioni l’anno scorso, quasi il triplo del 2009. L’aumento segue un paio di colpi subiti da Apple, come la condanna per pratiche anti-competitive sui prezzi degli eBook e l’accusa di evasione in paradisi fiscali, per rispondere alla quale lo stesso ceo Tim Cook è andato a Capitol Hill nel 2013. E ci è tornato a settembre per spiegare che le app del nuovo Apple watch per monitorare la salute non violano la privacy degli utenti.
Una cosa è certa: con l’aumento della regolamentazione di Internet i traslochi dalla Silicon Valley a Washington saranno sempre più frequenti.