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 2015  marzo 30 Lunedì calendario

La vera storia del falso carteggio tra Mussolini e Churchill e i miracoli della storiografia complottista

La prima insinuazione fu lasciata cadere in un trafiletto pubblicato il 7 ottobre 1945 dal quotidiano romano «Il Tempo»: «Si apprende che durante la sua permanenza a Como, Churchill sarebbe venuto in possesso delle lettere da lui scritte a Mussolini». Nasce di qui uno dei casi più clamorosi di storiografia complottista d’Italia. Winston Churchill, secondo l’autore di questa insinuazione, in quello e successivi viaggi sarebbe stato intenzionato a recuperare lettere che avrebbero potuto dimostrare una sua complicità con Mussolini mai venuta meno, neanche ai tempi della feroce guerra mondiale che avrebbe visto i capi del governo inglese e italiano battersi su fronti opposti.
Churchill lasciò correre e quella «notizia» divenne nel tempo un clamoroso caso giornalistico e non solo. All’amo dei falsari abboccarono addirittura i due più importanti editori italiani del Novecento: Arnoldo Mondadori e Angelo Rizzoli. Mondadori il 19 ottobre del 1953 si precipitò a Milano da Sankt Moritz e versò un milione e mezzo di lire (cifra per l’epoca sbalorditiva) pur di assicurarsi «una parte» della «corrispondenza segreta» tra Winston Churchill e Benito Mussolini. Stessa cosa farà Rizzoli, il quale, a fine aprile 1954, darà alle stampe su «Oggi» una prima serie di lettere (false), facendo impennare le vendite del settimanale. Tutto ciò nonostante fosse evidente che le missive di Churchill erano del tutto poco plausibili, per di più scritte in un inglese maccheronico. Lo rilevò Arrigo Levi in quegli stessi giorni: «Le formule di commiato, “Your sincerely devoted” e “Believe me sincerely yours” sono tipici casi di traduzione letterale di una formula italiana in un pessimo inglese» scrisse sulla «Settimana Incom Illustrata» il 22 maggio 1954. Stessa impressione da parte dell’ambasciata del Regno Unito a Roma: «L’inglese attribuito a Sir Winston Churchill è così scorretto da rivelare come ovvio che i “documenti” sono assolutamente delle grossolane contraffazioni».
Ma, a dispetto di tale evidenza, la leggenda di questo scambio epistolare tra due dei principali antagonisti della Seconda guerra mondiale ha messo radici e ancora oggi viene presa per buona. Come dal libro di Ubaldo Giuliani-Balestrino Il carteggio Churchill-Mussolini alla luce del processo Guareschi (Edizioni Settimo Sigillo), da Uccidete il «Grande Diavolo» di Filippo Giannini (Greco & Greco), da Dear Benito, caro Winston (Mondadori) di Arrigo Petacco. Perfino il più grande studioso italiano del fascismo, Renzo De Felice, non se l’è sentita di scartare l’ipotesi che quelle lettere siano realmente esistite. E invece si è trattato di un falso, un clamoroso falso che non ha neanche un aggancio con ciò che è realmente avvenuto. Neanche uno. Come dimostra in termini inconfutabili Mimmo Franzinelli in L’arma segreta del Duce. La vera storia del Carteggio Churchill-Mussolini («Carteggio» è scritto con la maiuscola proprio per distinguerlo dal vero, scarno scambio di lettere ufficiali che vi fu tra i due), che la Rizzoli si accinge a mandare in libreria.
Di lettere a Mussolini, Churchill ne scrisse una, il 16 maggio del 1940, sei giorni dopo essere diventato il capo del governo. «È troppo tardi» chiedeva lo statista inglese «per impedire che scorra un fiume di sangue fra i popoli britannico e italiano?». E non era certo la domanda di un uomo sull’orlo della disperazione. «Sono sicuro» proseguiva Churchill «che qualunque cosa possa accadere sul continente (la Francia stava crollando, ndr ), l’Inghilterra proseguirà fino alla fine, anche se completamente sola, come abbiamo già fatto altre volte, e io ritengo con qualche buon motivo che saremo aiutati in maniera crescente dagli Stati Uniti d’America e anzi da tutte le Americhe». Una lettera del tutto in linea con quello che era stato l’atteggiamento di Churchill nei confronti del Duce per tutto il ventennio, in particolare negli anni più recenti, quando aveva provato a dividerlo da Hitler.
Il 21 gennaio del 1927, Churchill aveva dichiarato al «Times», rivolto a Mussolini: «Fossi italiano, mi sarei certamente schierato con tutto il cuore al vostro fianco sin dall’inizio della vostra lotta trionfale contro gli appetiti e le passioni bestiali del leninismo». Poi, il 18 febbraio del 1933, al rientro da una vacanza in Italia, Churchill definiva Mussolini un «genio incarnato». E negli anni che seguirono la presa del potere di Hitler, lo statista inglese tenne sempre a distinguere la sua avversione al dittatore tedesco dall’ammirazione per quello italiano. Come del resto facevano David Lloyd George, Lord Edward Wood, sir Austen Chamberlain e il commediografo George Bernard Shaw. Almeno fino al 1937, quando – in una conversazione con Frank Owen, politico liberale e direttore dell’«Evening Standard» – definì Hitler e Mussolini «These men of microphone and crime», «uomini della propaganda e dell’assassinio». E la lettera del 16 maggio 1940 conteneva traccia di questi mutamenti d’umore. Risultano così stravaganti le tesi che emergerebbero dalle «lettere segrete», secondo cui «Churchill avrebbe proposto a Mussolini di entrare in guerra con gli angloamericani» o di «combattere a fianco dei tedeschi per poi condizionarli nelle trattative di pace». In ogni caso Mussolini il 18 maggio rispose alla «vera» missiva di Churchill con una lettera altrettanto «autentica» (e pubblica) in cui affermava che per «senso dell’onore» avrebbe schierato l’Italia al fianco della Germania nazista. «In entrambi i messaggi», fa notare Franzinelli, «non un cenno a contatti pregressi né a patti in elaborazione».
Bizzarri sono i protagonisti di questa «operazione Carteggio»: il sedicente comandante dei servizi segreti della Rsi Tommaso David («in realtà», puntualizza Franzinelli, «capo di un servizio di spionaggio repubblichino collegato all’Abwehr, lo spionaggio tedesco»), il «custode degli epistolari» Enrico De Toma (colui che riuscì a vendere le «carte» ad Angelo Rizzoli) e l’aristocratico falsario Ubaldo Camnasio de Vargas. Sul fronte dei creduloni moltissime personalità di primo piano dell’Italia repubblicana. Scettici furono invece Alcide De Gasperi, preso di mira (come Giovanbattista Montini e Benedetto Croce) da un’altra opera di falsificazione di lettere, Giulio Andreotti e il repubblichino Giorgio Pisanò, il quale, in contrasto con la sua parte politica, per primo denunciò le contraffazioni.
Tommaso David entrò in azione nell’estate del 1944, al servizio della Repubblica di Salò, fabbricando un biglietto che avrebbe dovuto coinvolgere Pietro Badoglio nell’uccisione, l’estate precedente, dell’ex segretario del Partito nazionale fascista Ettore Muti. Il governo Bonomi inserì il nome di David nel «Bollettino delle ricerche», qualificandolo come «delinquente» e descrivendone minuziosamente i connotati: «Altezza m. 1,83, corporatura grossa, capelli e occhi grigi, denti falsi». Si occupò di lui anche il controspionaggio statunitense, mettendo in evidenza che aveva preteso «prestazioni sessuali dalla ventunenne Marianna Sgabelloni» e aveva «soggiornato» nel settembre 1944 con la diciassettenne Carla Costa in un albergo di Maderno «in gita di piacere». La «divisione» di David, peraltro, era piena di «personale femminile». Il suo vice, Renato Pericone, lasciò scritto che Tommaso David reclutava «le donne unicamente per motivi sessuali». L’Office of Strategic Services lo definì «un vecchio mandrillo». Nessuno, insomma, fino a quando tirò fuori il Carteggio, lo aveva preso sul serio. Un personaggio di secondo piano, David, dedito alla disinformazione, fino a un giorno di inizio aprile 1945, quando il Duce lo ricevette nel suo ufficio a Gargnano, sulla sponda bresciana del lago di Garda, e gli affidò due borse in pelle, una gialla e l’altra bruna, salvo poi richiamarlo a farsi restituire la valigia scura.
Di qui inizia la storia che verrà alla luce il 13 maggio 1951, allorché un giornale, «Asso di Bastoni», pubblicherà con grande evidenza in prima pagina la notizia dell’esistenza del Carteggio in mano a David. Piovono interrogazioni parlamentari da parte dei socialdemocratici Bruno Castellarin e Luigi Preti, si entusiasma l’ispettore generale degli Archivi di Stato, Emilio Re. Re affida il caso a un suo emissario di Bolzano, il quale fa appena in tempo a conoscere l’uomo e già esprime i primi dubbi: «Il David, già agente segreto della polizia dell’ex Repubblica di Salò, è un esaltato e uno squilibrato e la sua affermazione di possedere le lettere predette può essere del tutto falsa, pur non escludendo che egli ne possa essere veramente in possesso», afferma in un rapporto del 16 giugno 1951. Chi invece prende la cosa molto sul serio è il ministro delle Finanze Ezio Vanoni, sensibilizzato da un amico di Merano, Pietro Richard. Più che scettico, come si è detto, è invece Andreotti, il quale sostiene trattarsi di «una pura e semplice falsificazione». Ma è isolato e la credibilità del falsario non è scalfita, tant’è che David può diventare un «eroe» della guerra fredda e il 29 marzo del 1957 (due anni prima di morire) sarà addirittura decorato con una medaglia d’oro quale «comandante del Corpo volontario anticomunista della Dalmazia».
Nel Carteggio, Dino Grandi sarebbe il mediatore tra Mussolini e Churchill, «intermediario infido», rileva Franzinelli, «poiché tradirebbe la patria ancora prima dell’entrata in guerra». In realtà Churchill scrisse a Grandi una sola lettera, peraltro assai cordiale, in risposta al messaggio dell’11 ottobre 1939 con il quale il conte gli comunicava la conclusione della propria missione londinese. Il resto delle lettere di Grandi e Churchill, che coinvolgerebbero Vittorio Emanuele III, sono ad ogni evidenza false. Churchill avrebbe scritto a Grandi nei panni di primo ministro un mese prima di essere nominato alla guida del governo inglese per proporre uno strano patto tra Italia e Gran Bretagna. Se davvero «esistesse un Patto italo-britannico e Grandi e Vittorio Emanuele ne fossero a conoscenza», si domanda Franzinelli, «perché non ricorrervi mentre l’Italia va in rovina» nel 1943? Nella Rsi, inoltre, Mussolini fa di tutto per screditare Grandi: «Se disponesse del Carteggio, non esiterebbe a servirsene, invece di chiuderlo in una borsa ad ammaestramento dei posteri». Quando nel 1953 vedrà questi documenti, Grandi li definirà «assolutamente falsi e per giunta grottescamente inverosimili, il che si rileva immediatamente da chi abbia conoscenza della lingua inglese, degli usi diplomatici, dei rapporti protocollari». Ma i falsari reagiranno sostenendo che Grandi parlava in difesa di se stesso.
E a questo punto Franzinelli solleva la «questione Bastianini». Giuseppe Bastianini, sottosegretario agli Esteri nel 1936-39 e poi successore di Grandi all’ambasciata di Londra sino all’entrata in guerra dell’Italia (giugno 1940), è uno dei pochissimi «cui non sfugge l’inadeguatezza bellica nazionale» e infatti «cerca invano di convincere il Duce a protrarre la neutralità». «L’incarico londinese e l’orientamento antigermanico», fa notare Franzinelli, farebbero di Bastianini «il personaggio chiave per trattative segrete con Churchill, di cui però non vi è cenno nelle sue memorie». E, se si ritiene che questo mancato cenno possa essere motivato dall’imbarazzo, stupisce che mai il nome di Bastianini sia fatto nel Carteggio.
Secondo Franzinelli, Bastianini «è assolutamente ignorato dal Carteggio, onde evitare che smentisca eventuali apocrifi a lui attribuiti, guastando l’opera dei falsari». «Il blackout su Bastianini (come su Ciano) è eloquente, specie se raffrontato all’ipertrofica produzione sull’ex ambasciatore Grandi (preso di mira con evidente intento polemico)». Tanto più che dal 5 febbraio 1943, dopo che Mussolini ha liquidato Ciano e ha assunto personalmente la guida del ministero, Bastianini ridiventa sottosegretario agli Esteri. Quando, nella prima metà di luglio del 1943, «in preda alla disperazione Mussolini accondiscende al desiderio di Bastianini di allacciare trattative segrete, è troppo tardi». Se «Mussolini disponesse di carte segrete, saprebbe di doverle giocare mentre è ancora in tempo». Bastianini, che da tempo avrebbe voluto riaprire quel canale con gli inglesi, sarebbe stato l’uomo giusto per questa iniziativa, se solo Mussolini lo avesse messo al corrente dell’esistenza di quelle carte. Ma così non fu.
Eppure ancora oggi, «qualsiasi panzana viene presentata come possibile dai sacerdoti del Carteggio». Tra «i creativi inventori di astrusi teoremi vi sono pure ex partigiani ultraottuagenari quali Luigi Carissimi Priori di Gonzaga (nome di battaglia «Cappuccetto rosso») che in tarda età ha divulgato storie assurde sul Carteggio, passato naturalmente anche dalle sue mani». La «logica del complotto creata ad arte sui fatidici documenti rovescia ogni evidenza d’inesistenza in prove di autenticità». I mitici carteggi, scrive Franzinelli, sono «bugie con la velleità di diventare storia». Coloro che hanno partecipato all’impresa di inventarli erano «quasi tutte persone prive di scrupoli, imbroglioni matricolati premiati da distrazioni e lentezze della magistratura». Fossero ancora vivi «constaterebbero sbalorditi come quelle loro lontane falsificazioni si siano radicate nonostante le evidenti falle… Una costruzione dalle facciate vivaci, dietro le quali c’è il vuoto». Miracoli della storiografia complottista.