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 2015  marzo 30 Lunedì calendario

Quando lo zar risolse il teorema di Eulero. Si deve a Pietro il Grande e a sua moglie Caterina la fondazione nel Settecento dell’Accademia delle Scienze in Russia

Pietro I di Russia viene chiamato “il Grande” per molti motivi. Il più elevato e duraturo dei quali è la fondazione dell’Accademia delle Scienze, che nel Settecento costituì il centro organizzativo di una letterale rivoluzione culturale che traghettò il paese dal medioevo alla modernità. Alla fine del Seicento, quando l’Europa era ormai stata scossa dalla nuova scienza di Galileo, Cartesio, Newton e Huygens, la Russia languiva infatti ancora nell’ignoranza e nell’analfabetismo: non solo ai piani “bassi” dei contadini, ma anche a quelli “alti” dell’aristocrazia.
Nel suo Grand tour europeo, durato più di un anno a cavallo tra il 1697 e il 1698, il giovane monarca si era reso conto dell’arretratezza del proprio paese. Tornato in patria, aveva iniziato a modernizzarlo: dalle piccole cose, come l’imposizione della rasatura ai boiardi, a quelle grandi, come la costruzione di San Pietroburgo. Venuto a sapere che nella sua visita europea lo zar russo si era interessato più alla tecnologia che all’arte, Leibniz si attivò per far conoscere anche a lui i suoi grandiosi piani culturali, un risultato dei quali fu la fondazione dell’Accademia di Berlino nel 1700.
Dopo una fitta corrispondenza con i funzionari di corte, il filosofo riuscì a incontrare lo zar in tre diverse occasioni: nel 1711 a Torguau, nel 1712 a Karlsbad, e nel 1716 a BadPyrmont. E gli presentò una serie di progetti, uno dei quali portò nel 1719 a una riforma amministrativa della Russia. La creazione di un’Accademia richiese più tempo, anche perché Leibniz era morto poco dopo l’ultimo incontro, e Pietro aveva inviato il proprio bibliotecario in un lungo giro di esplorazione delle analoghe istituzioni già esistenti in Francia, Germania, Olanda e Inghilterra, alcune delle quali aveva visitato egli stesso.
Il Senato russo approvò infine la creazione dell’Accademia delle Scienze nel 1724, ma prima che essa fosse inaugurata anche Pietro morì. Il progetto fu portato a termine da sua moglie Caterina I, e nell’estate del 1725 giunsero i primi membri: tutti stranieri, visto appunto lo stato disastroso in cui versava la cultura locale. L’Accademia si dedicò dunque non solo alla ricerca scientifica, ma anche agli insegnamenti universitario e superiore.
Tra i primi arrivi ci furono Christian Goldbach, il cui nome è oggi legato alla congettura (tuttora irrisolta) sulla scomposizione di ogni numero intero nella somma di due numeri primi, e i due fratelli Nicolaus e Daniel Bernoulli, figli di Johann e membri della prolifica famiglia di matematici di Basilea. Nicolaus morì l’anno dopo di febbre, e fu sostituito nel 1727 dal ventenne enfant prodige Leonhard Eulero, arrivato nell’insalubre città la settimana dopo la morte della zarina.
Suo padre era un ministro protestante, e avrebbe voluto che il figlio studiasse teologia. Ma da giovane aveva lui stesso studiato matematica, condividendo la camera con Johann Bernoulli, e fece l’errore di insegnarla al figlio. Il quale dimostrò immediatamente di avere un eccezionale talento, che gli permise di studiare da solo sui libri, limitandosi ad andare la domenica pomeriggio dal famoso matematico a chiarirsi gli eventuali dubbi della settimana.
Eulero e Daniel Bernoulli costituirono una coppia formidabile fino al 1733, quando il secondo decise di tornare in Svizzera. Non prima di aver completato, però, uno studio quadriennale culminato in un manoscritto di quattrocento pagine, poi pubblicato con il titolo di Idrodinamica e divenuto il monumento di riferimento di questa nuova scienza.
Dal canto suo, nel 1734 Eulero risolse il famoso problema di Basilea, che non si era piegato agli attacchi degli altrettanto famosi matematici di quella città. Si trattava di calcolare la somma degli inversi dei numeri quadrati: cioè, uno più un quarto più un nono più un sedicesimo, eccetera. Con un gioco di prestigio che passò alla storia Eulero trovò che la soluzione è “pi greco al quadrato diviso sei”, e scoprì che il rapporto geometrico fra la circonferenza e il diametro di un cerchio aveva legami misteriosi con i numeri interi e i loro quadrati.
Nel frattempo in Russia si succedevano velocemente gli zar e le zarine (Pietro II, Anna, Ivan VI, Elisabetta), e la situazione dell’Accademia deteriorava. Nel 1741 anche Eulero decise di lasciare il paese, dopo quattordici anni, per accettare l’invito di Federico il Grande all’Accademia di Berlino. Ci rimase per venticinque anni, ma il suo cuore e il suo portafogli rimasero in parte in Russia: continuava infatti a ricevere lo stipendio da San Pietroburgo, a mandarvi una buona parte dei suoi lavori, ad accogliere studenti russi in visita, e a fungere da ambasciatore informale dell’Accademia.
Dal canto suo, Federico non lo amava e preferiva la compagnia di intellettuali più brillanti e meno bigotti, come Voltaire. Alla regina madre, che gli domandò un giorno perché parlasse così poco, Eulero confidò: «Perché arrivo da un paese in cui chi parla viene impiccato». E, avendo imparato a tacere, trangugiò anche le molte scortesie del sovrano del paese in cui era arrivato: dall’epiteto di “matematico ciclope”, per un occhio perduto a trentun anni, alla mancata nomina a presidente dell’Accademia, in favore di un matematico meno bravo ma più di mondo.
Le turbolenze russe finirono nel 1762, quando sul trono degli zar salì l’illuminata Caterina la Grande. Eulero fu da lei blandito in vari modi, con offerte di denaro e potere, e nel 1766 tornò definitivamente a San Pietroburgo. Appena arrivato perse anche l’uso dell’altro occhio per una cataratta, ma la prese con filosofia dicendo: «Ora avrò meno distrazioni».
Certo la cecità non gli impedì di continuare a produrre risultati a ritmo incessante, fino a riem- pire in diciassette anni metà dell’ottantina di volumi delle sue Opere complete, la cui stampa richiese quasi un secolo. In parte lo aiutò una memoria leggendaria, che fin da bambino gli permetteva non solo di recitare tutta l’Eneide, ma anche di dire a che pagina del testo si trovava. E, da adulto, di fare a mente calcoli complicatissimi.
Eulero non lasciò più la Russia: morì nel 1766, e fu sepolto a San Pietroburgo. Caterina regnò per altri trent’anni, fino al 1796, e al termine del suo regno e del Settecento la scienza aveva ormai attecchito nel paese, grazie ai semi piantati dall’Accademia delle Scienze in generale, e da Eulero in particolare.
Pochi decenni dopo, negli anni ‘20 dell’Ottocento, un matematico russo di nome Nikolaij Lobachevskij divenne “il Copernico della geometria”, quando scoprì per primo la geometria non euclidea. E mezzo secolo dopo la matematica entrò addirittura nella letteratura russa, attraverso le citazioni che ne fecero Lev Tolstoj in Guerra e pace, e Fëdor Dostoevskij nei Fratelli Karamazov. Da allora la Russia è diventata una delle superpotenze matematiche del mondo e ha conquistato nel dopoguerra il 20% delle medaglie Fields, che costituiscono l’analogo del premio Nobel per la matematica.
L’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo ha cambiato di nome varie volte, passando nei secoli da imperiale a sovietica a russa. Ha traslocato sede una volta, trasferendosi nel 1934 a Mosca. Ed è esistita ininterrottamente dal 1725 al 2013, quando è stata inaspettatamente sciolta, sollevando le proteste di molte medaglie Fields di tutto il mondo (Aityah, Deligne, Hironaka, Kontsevich, Mori, Mumford, Serre, Witten): cioè, degli analoghi moderni dei Leibniz, dei Bernoulli e degli Eulero che avevano contribuito a fondarla.
L’Ambasciata Italiana e l’Accademia Russa delle Scienze hanno organizzato un convegno dal titolo “Italia e Russia nel Secolo dei Lumi” che si terrà oggi e domani a Mosca al quale partecipa anche Piergiorgio Odifreddi