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 2015  marzo 30 Lunedì calendario

Tunisi, la domenica della rivincita. Una manifestazione fatta di giovani scesi in strada contro lo jihadismo, in un’atmosfera che ricorda la Primavera araba del 2011

I ragazzi e le ragazze con le bandiere nazionali sulle spalle, i nastri rossi tra i capelli con la scritta «je suis Bardo», danno energia e riempiono di senso la marcia dei cinquanta o forse addirittura settantamila contro il terrorismo. Verrebbe da dire che non solo a Tunisi, ma nell’intero mondo arabo, almeno per un giorno, è tornata la Primavera. 
Finalmente la domenica della grande rivincita è arrivata. I tunisini e tutti noi la stavamo aspettando dal 18 marzo, quando i kalashnikov e le granate dei jihadisti fecero strage di turisti nel museo del Bardo. Ventidue morti, compresa Huguette Dupeu, che l’altro ieri si è arresa alle ferite gravi. Quattro italiani, quattro francesi, tre giapponesi, tre polacchi, due spagnoli, due colombiani, un britannico, un russo, un belga. Più un poliziotto tunisino. Da ieri i loro nomi sono incisi su una lastra di pietra, su un muro bianco del museo. I cittadini l’hanno vista solo in tv, con le immagini dei capi di Stato e dei ministri stretti intorno al loro presidente, Bèji Caid Essebsi, 88 anni, che è sembrato una specie di Pertini tunisino quando ha accolto il presidente francese chiamandolo Francois Mitterrand. Hollande ha sorriso ed Essebsi lo ha abbracciato a lungo. Tunisia e Francia. Ma anche Tunisia e Italia. Matteo Renzi è l’unico premier europeo insieme con il collega belga Charles Michel e Manuel Valls che accompagna Hollande. Angela Merkel ha delegato il ministro dell’interno, Thomas de Maizière, lo spagnolo Mariano Rajoy quello degli esteri Josè Manuel Garcia-Margallo. L’Italia è rappresentata anche dal presidente della Camera, Laura Boldrini, e da una delegazione parlamentare. Scorrere l’elenco delle presenze diventa un interessante esercizio politico-diplomatico. Il mondo arabo guarda ancora con una certa diffidenza all’«eccezione tunisina», un Paese che prova a misurarsi con la democrazia, circondato da monarchie o regimi presidenziali assoluti. L’Algeria invia il capo del governo, Abdelmalek Sellal; il Marocco di re Mohammed V il rappresentante dell’assemblea nazionale, Ahmed Touhami, mentre l’Egitto del nuovo rais Al Sisi soltanto il vice ministro degli esteri Abdul Rahman Salah. Il Qatar, spesso evocato come finanziatore dei movimenti islamici più o meno radicali in Tunisia e altrove, mantiene un profilo basso con il ministro della cultura, Abdelaziz al Kawari. Fa eccezione il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, in virtù degli storici legami tra i due popoli. Ma l’intero Paese aspetta soprattutto l’Europa. Radio e tv locali trasmettono decine di volte le parole di Hollande: «Era necessario partecipare a questa marcia, perché siamo uniti nella lotta al terrorismo»; di Renzi: «Non la daremo vinta ai terroristi, continueremo a combattere perché gli ideali di pace e di libertà, di convivenza e di fratellanza si affermino ovunque». 
Le dichiarazioni dei leader non si mescolano con gli slogan, i canti ritmati dai manifestanti. Le autorità restano blindate nel recinto del Parlamento e del Bardo. Ed è un peccato. Il governo tunisino non ha voluto rischiare mescolando i due mondi, come invece era accaduto l’11 gennaio a Parigi, dopo l’attentato a Charlie Hebdo. 
Militari, blindati, quattro o cinque carri leggeri, agenti delle forze speciali, tiratori scelti sui tetti. Misure di sicurezza di un Paese che non vuole apparire… insicuro. Tanto che in mattinata il ministero dell’interno annuncia l’uccisione di Lokman Abou Sakher, a Gafsa, terra di fosfati e di antiche rivolte, capo del gruppo terrorista più pericoloso, responsabile dell’attacco al Bardo. 
La folla imponente scorre senza inciampi, con personalità da democrazia matura, consapevole della novità dirompente: una comunità di religione musulmana per la prima volta in piazza contro la jihad islamista. Lungo i 2 chilometri e mezzo che separano la porta di Bab Saadoun dal Bardo, i senior della generazione Bourguiba, il padre fondatore della Nazione, cantano l’inno con i liceali. Le ragazze velate si dividono uno striscione con le coetanee in jeans. Poi arrivano «i medici liberali», gli avvocati con la toga nera e il fiocco bianco. Un commerciante di 65 anni con un cartello scritto a mano: «I terroristi non sono la Tunisia». Gli osservatori politici temevano che la manifestazione potesse essere monopolizzata dai militanti di Ennhahda, il partito islamico che ha guidato il governo fino allo scorso anno. Ma in piazza non si sono viste bandiere di partito e appare difficile immaginare che tutte queste persone si siano mosse a comando. Già ma quante sono? La polizia aggiorna in continuazione le stime: parte da 15 mila, poi arriva a 20-25 mila. Quando, nel primo pomeriggio, il corteo si scioglie, i calcoli oscillano ancora: 50, 60 forse 70 mila. Tanta gente, forse per una nuova Primavera.