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 2015  marzo 27 Venerdì calendario

Banche più fragili e meno risorse anticrisi nei Paesi con un alto debito. Ecco perché per Mario Draghi è inutile guardare all’Europa in termini di «trasferimenti permanenti dagli Stati forti a quelli deboli, con creditori permanenti e debitori permanenti»

I Paesi con un alto debito pubblico, come l’Italia, hanno una marcia in meno rispetto a quelli con basso debito. Uno Stato altamente indebitato ha meno risorse per gli investimenti a sostegno della crescita e ha spazi di manovra limitati per assorbire lo shock di crisi sistemiche. Come è successo all’Italia che all’inizio della crisi del debito sovrano europeo aveva un debito/Pil già al 103% e per questo aveva meno «soldi da poter spendere nella crisi». Inoltre i Paesi con basso debito pubblico «hanno banche più forti» mentre le banche nei Paesi altamente indebitati sono esposte a forti perdite e quando la credibilità dello Stato debitore è messa in discussione erogano meno credito a imprese e famiglie.
È questo in essenza il monito che Mario Draghi ha rivolto ieri all’Italia, in occasione del suo primo intervento alla Camera dei deputati in veste di presidente della Bce. Inutile guardare all’Europa in termini di «trasferimenti permanenti dagli Stati forti a quelli deboli, con creditori permanenti e debitori permanenti». «Il debito accumulato va ripagato», ha sottolineato, ricordando che a questo riguardo bisogna porsi anche il problema delle dinamiche della crescita demografica.
Nel suo discorso, e poi nelle risposte alle domande dei deputati, il problema dell’«alto debito» è affiorato e riaffiorato, ripetutamente. Fin dalle prime battute, l’Italia, per i suoi trascorsi di Paese altamente indebitato, non è stata risparmiata. «Lo spread di 500 punti base pagato dall’Italia rispetto ai Bund nei momenti peggiori della crisi, quando a fine 2011 il BTp decennale rendeva oltre il 7% e il Bund il 2%, è esattamente quello che gli italiani hanno pagato per 15 anni in media prima dell’introduzione dell’euro», ha esordito, aggiungendo – rivolgendosi ai movimenti anti-euro rappresentati in Parlamento – che questo è un elemento utile per chi volesse fare paragoni «sull’utilità della moneta unica per il nostro Paese». Draghi ha successivamente rincarato la dose sullo stesso concetto: «Io personalmente penso che trincerarsi nuovamente dentro i confini nazionali non risolverebbe i problemi della bassa demografia e del debito alto». Inoltre, ha messo in chiaro, nell’Eurozona «il default di uno Stato crea danni a tutti».
Draghi ha poi spiegato come il «nesso» tra banche e rischio sovrano abbia esasperato la crisi nel 2011 e 2012. Il debito pubblico, ha detto, influenza le banche in due modi: i mercati considerano il «bilancio pubblico il garante di ultima istanza delle banche». Più il debito pubblico è alto, più lo Stato è fragile e di conseguenza le banche devono raccogliere più capitale per rafforzarsi e pagano più caro il costo del loro finanziamento. Inoltre, le banche che detengono i titoli di Stato del loro Paese in grandi quantità (come quelle italiane che svettano in cima alle classifiche europee sulla detenzione di titoli di Stato in percentuale degli asset totali) sono vulnerabili: «Quando la credibilità dello Stato debitore viene messa in discussione come è accaduto nel 2011 e nel 2012, i titoli di Stato perdono valore, le banche devono appostare forti perdite e quindi erogano meno credito».
Proprio il debito pubblico «troppo alto» in Europa, tema ricorrente «negli ultimi 30 anni», secondo Draghi rende per lo meno poco realistica la prospettiva di una scarsità di titoli di Stato per il quantitative easing della Bce. «A oggi contiamo di raggiungere i 60 miliardi di euro per marzo anche se gli acquisti sono iniziati il 9. Non ci sono segnali di scarsità di titoli di Stato, questa non è una prospettiva realistica. Non mi risulta ci siano difficoltà nel fare questi acquisti». I titoli di Stato in circolazione in grandi quantità, per contro, hanno contribuito a ridurre l’erogazione del credito bancario all’economia in occasione delle prime misure non convenzionali della Bce per aumentare la liquidità: dopo le due LTRO a tre anni nel 2011/2012, che hanno iniettato nel sistema 1.000 miliardi di euro, «la trasmissione del credito all’economia non c’è stata in Italia, Spagna e Portogallo» perché i bilanci delle banche «erano malati» e quella liquidità da ridare alla Bce dopo tre anni è stata utilizzata per fare il bilancio con i titoli di Stato che pesano con rischio zero (diversamente dal rischio dei prestiti alle imprese per le quali le banche devono fare accantonamenti di capitale per i requisiti prudenziali).