Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 26 Giovedì calendario

Faide e anarchia avvelenano la campagna del Pd nei territori. Dal Piemonte a Roma, le divisioni nel partito del 40%

Piemonte, Sicilia, Campania, Marche, Liguria, Roma, Lazio. A metterle insieme, le aree di crisi del Pd renziano fanno impressione, da sud a nord il partito è squassato da guerre intestine, che non danno certo la misura di una creatura in splendida salute con percentuali da vecchia Dc e oggi dotata di un leader dominus assoluto del panorama politico. Primarie contestate, candidature contestate, base in rivolta, potentati locali inestirpati. Il tutto alla vigilia delle comunali dei sindaci e soprattutto delle regionali di fine maggio: quelle che sei mesi fa si presentavano come una passeggiata, qualcuno ipotizzata un “cappotto” sette a zero. E invece oggi il quadro non è più roseo, anzi. L’ elenco delle grane che i colonnelli renziani stanno gestendo dunque fa assomigliare il Pd ad un campo di battaglia, piuttosto che al partito più votato d’Europa.
I guai della Campania
Non c’è solo il caso De Luca, che non potrà fare il presidente della Regione se la Consulta dopo i ricorsi sancirà la validità della legge Severino, ma una serie di polemiche locali sulle liste, anche per i “figli di”, in una realtà dove capita che i capi corrente locali siano figli di ex consiglieri regionali. La rottura con i vendoliani è ufficiale, Sel non ci sta a votare De Luca, sta valutando un’altra candidatura e Caldoro marcia in testa ai sondaggi. Così come Zaia in Veneto, altra regione ad alto rischio, dove perfino la discesa in campo di Tosi rischia di erodere consensi moderati per il Pd della Moretti.
Roma, dai Parioli in giù
Non bastava Fabrizio Barca a liquidare i mali del partito romano dipinto a tratti come “pericoloso e dannoso”. Un partito commissariato da Matteo Orfini nei vari municipi, da Parioli alla periferia, con dirigenti del calibro di Antonio Funiciello, Gennaro Migliore e il torinese Stefano Esposito nominati commissari di quartiere, costretti a tenere Assemblee permanenti, verifiche delle tessere e repulisti come mai si era visto prima. Ora è scoppiato pure il caso della regione, con il capo di gabinetto di Nicola Zingaretti, Maurizio Venafro, che si è dimesso per essere indagato nell’ambito dell’inchiesta “Mondo di mezzo”. Certo, come dice il governatore, «Venafro è oggetto di una fase di accertamento delle indagini rispetto ad una gara della nostra regione, ma essere indagato non vuol dire essere colpevole». Quindi massima fiducia al suo principale collaboratore. Ma la scossa si è fatta sentire, eccome.
Sicilia, un mondo a parte
Il più eclatante nell’isola dei tormenti è il caso di Mirello Crisafulli, storico dirigente ex Pci-Ds forte di un solido bacino di consensi locali, coinvolto in due procedimenti giudiziari, uno archiviato e l’altro prescritto, che vuole candidarsi alle primarie per il sindaco di Enna. Creando un problema a Renzi, che giorni fa diramò un altolà ricordando l’intervento di Pif alla Leopolda del 2014 con un passaggio contro l’esponente siciliano «che fece venir giù la platea», rammentano gli uomini del leader. E non è da meno il caso delle primarie agrigentine, paradossale ma sintomatico. Fausto Raciti il segretario regionale Pd, ha convocato un summit in settimana, per discutere se annullare le primarie vinte da Silvio Alessi, indipendente a capo di una lista civica, che non nasconde simpatie berlusconiane.
Firme contestate
Altra grana di prima grandezza in Piemonte, dove sono state contestate alcune delle firme depositate per la candidatura di Chiamparino, il quale ha annunciato di volersi dimettere nel caso venisse accertato il problema. Se ciò avvenisse, si dovrebbe rivotare come avvenne per il caso Cota, il governatore leghista.
La guerra nelle Marche
È un caso di specie, a nulla sono valsi i tentativi diplomatici: dopo vent’anni di governo rosso nelle Marche sta nascendo una sorta di “tutti contro il Pd”; grazie al presidente uscente, Gian Mario Spacca, ex Margherita, per dieci anni al potere e dal 2010 con una coalizione Pd-Udc. Che vuole fare il terzo mandato e che – tradendo il Pd – potrebbe riuscire nell’impresa di compattare Forza Italia, Lega e Ncd. Costringendo il Pd di Renzi a schiacciarsi a sinistra con un candidato appoggiato da Sel. Insomma un caos, che coinvolge anche la Liguria, dove il civatiano Pastorino con la sua coalizione di sinistra insidia la renziana Paita, che ha vinto le primarie contestate da Cofferati per brogli ai seggi. In tutto ciò Renzi non ha ancora deciso come regolarsi in campagna elettorale e valuterà se scendere in campo in realtà mirate a macchia di leopardo.