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 2015  marzo 13 Venerdì calendario

Pensioni, enti locali e sussidi: riparte la spending review. Il consigliere di Renzi Yoram Gutgeld, nominato commissario, a caccia di 10 miliardi. Tagli indispensabili per scongiurare il rincaro dell’Iva

C’è una nube sospesa su questo Paese, ora che sta coprendo l’ultima tappa di una lunga marcia fuori dalla recessione. È solo una macchia in una visuale che da anni non si presentava così nitida. La finanza pubblica è rimasta sotto controllo, malgrado la tentazione di Matteo Renzi un anno fa di disfarsi delle regole europee. L’area euro ha scelto di credere al percorso di modernizzazione del premier, malgrado la tentazione strisciante a Bruxelles (e Berlino) di rimettere l’Italia nella gabbia di qualche procedura di sorveglianza. I tassi sui titoli di Stato sono bassissimi, malgrado un debito che dal 2007 non ha mai smesso di salire. E il deprezzamento dell’euro, insieme a quello del petrolio, promettono una crescita che qui ormai era diventata una parola straniera.
Resta quella nube, compressa in una nota a piè di pagina nell’ultima nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def) dell’autunno scorso. Se i conti nei prossimi anni non torneranno, dovrebbe scattare un aumento dell’Iva da 12,4 miliardi nel 2016 e 17,8 nel 2017. L’asticella è esattamente lì: posta all’altezza di un deficit pubblico da ridurre in teoria dal 3% del Pil dell’anno scorso all’1,8% del prossimo. Non è impossibile. Ma se il premier e il ministro dell’Economia ora pensano di far ripartire una revisione della spesa pubblica, è in primo luogo perché sperano di mettersi al riparo da quella clausola che somiglia da vicino a una trappola.
Un’economia convalescente non può rimettersi in cammino sotto la minaccia di una doccia fredda da almeno 12 miliardi di tasse in più su consumi e investimenti. Intervenire sulla spesa, con l’operazione lanciata ieri dal Consiglio dei ministri che vedrà Yoram Gutgeld alla guida della spending review, in questa luce appare più una scelta obbligata che un atto di eroismo. È vero che il calo degli interessi sul debito dovrebbe arrivare a 10 miliardi in due anni, almeno secondo le stime della Corte dei Conti sulla base degli interventi della Banca centrale europea sui titoli di Stato italiani. Ma l’esperienza degli Stati Uniti mostra che i tassi a lungo termine possono persino salire, una volta che una banca centrale inizia davvero a comprare e dunque fa crescere le aspettative di inflazione.
Di qui, in primo luogo, la scelta di riattivare la spending review.
Quella preparata a suo tempo dal vecchio “zar” del settore, Carlo Cottarelli, tra non molto (meglio tardi che mai) sarà visibile in Rete. Ma lì in gran parte resterà. Gutgeld, con l’aiuto dell’economista della Bocconi Roberto Perotti e l’appoggio del presidente dell’Inps Tito Boeri, con ogni probabilità pensa a un disegno diverso. Non tanto nelle dimensioni degli interventi che non si discostano molto da quelle su cui aveva lavorato Cottarelli: probabilmente 8 o 10 miliardi di tagli da iscrivere nella Legge di stabilità per il 2016 e un altro intervento per l’anno successivo. A quel punto, ammesso che vada davvero così, i vari governi di questa legislatura avrebbero ridotto la spesa di quasi il 2% del Pil. L’unica certezza è che per ora non è successo, al contrario: il costo dello Stato nel 2014, in crescita continua, ha superato di netto il 51% del fatturato dell’economia.
Ma se la taglia della spending review ricorda quella di Cottarelli, l’approccio promette di essere diverso. I settori questa volta dovrebbero guardare sempre agli enti locali, ma ancora di più allo Stato centrale: le mille articolazioni dei ministeri nei territori, mai raccolte in singoli immobili; i sussidi alle imprese e al trasporto pubblico, spesso inefficienti; la nebulosa delle società partecipate dagli enti locali, sulle quali le giunte dovranno presentare piani di “razionalizzazione”.
Poi c’è il capitolo della spesa sociale. Uno dei grandi punti di rottura fra Renzi e Cottarelli furono le pensioni, sulle quali il secondo voleva intervenire: secondo le stime del Def, il loro peso aumenta di 28 miliardi tra l’anno scorso e il 2018. Il premier resta contrario a un taglio degli assegni già maturati, ma magari non proprio di tutti. Esistono aree nelle quali gli abusi sono ormai visibili a occhio nudo, benestanti che incassano doppia e tripla protezione sociale; nel frattempo, ormai 6 milioni di persone in Italia versano in povertà e spesso restano senza sostegno dall’Inps o dall’assistenza sociale. Era un riequilibrio da tentare prima. Ora Gutgeld, Perotti e Boeri hanno la chance di rendere l’Italia più simile a qualunque altro Paese europeo dove il welfare serve a proteggere i deboli. Non i furbi, i fortunati o quelli con più numeri di telefono nell’agenda del cellulare.