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 2015  marzo 10 Martedì calendario

Pubblicità, per capire chi comanda basta vedere come si muovo gli inserzionisti. E tutti preferiscono Mediaset alla Rai

Per capire chi comanda in Italia vanno rintracciati i miliardi di euro di pubblicità, osservato il taglio ai costi di Eni e Enel, le ambizioni di Poste, il dominio di Mediaset che vanta clienti in esclusiva, l’immobilismo dei dirigenti Rai che non riescono a competere, la fame vorace di Sky e l’asfissia di giornali e cinema. Cosa vuol dire recessione per il mercato pubblicitario italiano: un costante segno meno. La raccolta 2014 flette a 6,2 miliardi di euro (-2,5%), i quotidiani sprofondano a 810 milioni (-9,7), internet fa un passettino senza scattare e rastrella 474 milioni (+2,1, al netto dei vari Google e Facebook) e la televisione spadroneggia con 3,5 miliardi di euro e smarrisce un’inezia (-0,5). E poi c’è Mediaset che un po’ vacilla, un po’ ricalibra i listini d’acquisto, ma non sloggia da una posizione dominante che comprime lo spazio per la Rai e non libera l’energia di Sky.
   Per comprendere il momento vanno esaminate le cifre elaborate da Nielsen che riguardano i cento maggiori investitori italiani. Il mercato è condizionato da cento colossi, cento grossi compratori, cento potenti aziende che possono decretare la fine o la rinascita dei media, il crollo di un giornale o l’ascesa di un’emittente. Questi cento gruppi movimentano 2,8 miliardi di euro e, dai tempi primordiali del “pizzone” (la cassetta) che Silvio Berlusconi spediva da Trieste a Enna per irradiare l’Italia con i suoi canali, prediligono Mediaset, foraggiano la tignosa Publitalia ‘80 che fu una creatura di Marcello Dell’Utri in versione milanese in doppio petto. La concessionaria di Cologno Monzese ha allentato la presa perché gli ascolti non reggono e capita che qualche granello, qualche decina di milioni rotoli verso la concorrenza, ma su 2,8 miliardi di euro, generati dai cento, 1,337 sono per Mediaset. In Viale Mazzini, dove il mercato spaventa perché il canone rassicura, s’accontentano di 455 milioni di euro. Sky è in crescita, sale da 201 a 234 milioni; l’americana Discovery va forte, 114; La7 non sbanda, resta a 76; la musica di Mtv funziona e vale 34 milioni.
I grandi finanziatori
In classifica, per denaro speso, svetta Procter & Gamble. La multinazionale con sede a Cincinnati (Ohio), che vende prodotti farmaceutici, per l’igiene orale e per la casa, fattura oltre 80 miliardi di euro: 118 li smista in Italia fra televisioni, carta stampata, cinema e radio. Al secondo posto c’è la tedesca Volkswagen (101 milioni), segue Barilla (91,8) che stacca di poco Ferrero (87). I telefonici perdono posizioni, Vodafone (84) è quarta; settima Wind che da 96,9 milioni di un paio di anni fa è scesa a 66,3; ottava Tim con 61 che, però, assieme a Telecom raggiunge quota 90. Tra Alfa, Lancia e Fiat, la Fca di Sergio Marchionne contribuisce ai 2,8 miliardi con 92,5 milioni.
Le controllate dal Tesoro
Per anni la coppia Enel-Eni – le due società partecipate dal Tesoro godono di antichi monopoli – ha influenzato i media italiani versando centinaia di milioni di euro. Poi il governo ha sostituito gli immarcescibili Paolo Scaroni (Eni) e Fulvio Conti (Enel) con Claudio Descalzi e Francesco Starace. Non sappiamo se il misterioso pranzo fra Descalzi e Starace, per ridurre le risorse pubblicitarie, s’è davvero tenuto, ma il risultato è evidente. La società petrolifera Eni ha sfrondato l’importo in uscita da 52,7 milioni di euro a 26. La gemella Enel, campione nazionale dell’elettricità, ha spuntato con vigore, da 31 milioni a 26. Questi soldi che restano a chi vanno? Eni è sempre interessata ai quotidiani (che spesso usano una certa discrezione sui suoi guai giudiziari), e occupa pagine per 3,3 milioni, una porzione non irrilevante. Il malloppo vero è distribuito, non equamente, fra Mediaset (10,6 milioni) e Viale Mazzini (2,9); a Sky, La7 e Mtv vanno poche centinaia di migliaia di euro. Enel è ancora più attenta a Mediaset (10 milioni), sottovaluta Rai (2,7) e i giornali (solo 751.000).
   In attesa di una promessa e sempre rinviata quotazione in Borsa, Poste Italiane è una controllata al 100 per cento del Tesoro. Poste è interamente pubblica. Ma l’attivismo di Francesco Caio, che Renzi ha chiamato al comando, si riflette nei dati Nielsen. Dopo l’epoca di Massimo Sarmi che ha gestito l’azienda per 12 anni, Caio ha cambiato strategia e aggredito il mercato pubblicitario: Poste ha aumentato la spesa del 205 per cento, volando da 4,5 milioni nel 2013 a 13,9 nel 2014. Nonostante l’economia assopita, il matrimonio tra Fondiaria Sai, travolta dagli scandali della famiglia Ligresti, e la bolognese Unipol ha creato un mecenate, Unipolsai, che ha inondato i media con 17,3 milioni di euro. Sarà un periodo di festa per i panettoni e gli aperitivi: Bauli sfiora i 20 milioni (+85 per cento) e Campari s’impenna da 21 a 26.
Viale Mazzini resta a guardare
Mediaset non sconta tanto la depressione di Canale 5 e dei generalisti perché vanta un bacino di clienti che investono milioni in Publitalia ‘80 quasi fossero in esclusiva. H3G è un caso emblematico. La compagnia telefonica di Vincenzo Novari, che aspira a guidare la Rai, su 24,7 milioni di euro, destina 17 milioni a Mediaset e soltanto 688.000 euro a Viale Mazzini.
Gli americani di Mondelez (Kraft) spendono 31 milioni e 18 e mezzo li danno al Biscione, Rai è sotto il milione. Comportamento simile per Calzedonia. Ferrero divide in maniera proporzionata i suoi esborsi, Barilla no. Lo storico marchio preferisce il Biscione : a Publitalia ‘80 vanno 45,5 milioni di euro dei 91,8 stanziati per il 2014; a Viale Mazzini un quarto, 11,8. E Fiat dà a Berlusconi e Confalonieri il doppio (32,5 milioni) di quello che concede alla tv pubblica (15,8). Lo stesso metro è utilizzato da Vodafone. Sorprendono, se la politica o l’ideologia avessero un valore, le scelte di quei comunisti della Coop che finanziano Mediaset con 5 milioni e la Rai con 2,5 a fronte di un gruzzolo di 14,9 milioni.
   I motivi che potrebbero giustificare questi esempi: i telespettatori del servizio pubblico sono più numerosi, ma più anziani (poi neanche troppo) della platea di Mediaset; gli agenti Rai non fanno benissimo il proprio mestiere. E c’è un terzo motivo, forse il più determinante: il Biscione è agevolato dall’immortale conflitto d’interessi. L’ex Cavaliere è azionista di banca Medionalum e amico di Ennio Doris. Allora Mediolanum dispone di 13 milioni per la pubblicità e ne versa 5,9 a Mediaset e 629.000 a Rai. E arriviamo a Mondadori, di proprietà di Fininvest, lo scrigno berlusconiano che custodisce anche Mediaset. Non vi aspettate che il presidente Marina che di cognome fa Berlusconi sia generosa con Rai e Sky e avara con Mediaset. Non c’è da stupirsi. Perché Mondadori rifila 17 milioni su 24 a Mediaset e 709.000 euro a Rai e 657.000 a Sky. Un ceffone proprio a quel Rupert Murdoch, un giorno nemico e un giorno alleato, che reclamizza gli abbonamenti per Sky (55,4 milioni nel 2014) senza penalizzare i rivali. Chissà cosa accadrà quando Mediaset avrà annesso Rcs Libri. Oltre a presidiare l’editoria con il 40 per cento del mercato, Mondadori più Rizzoli elargiranno milioni di euro per promuovere gli autori su Mediaset e basta? Il dubbio, per usare un’espressione berlusconiana, neanche è consentito.