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 2015  marzo 06 Venerdì calendario

A Draghi il brevetto della ripresa ma ora tocca ai governi e alla politica rimuovere l’ultimo scoglio. Ma l’insolvenza greca crea nervosismo

Se qualcuno ha diritto a depositare il brevetto della ripresa che si prepara in Europa, questi è Mario Draghi. C’è solo una macchia nel panorama finalmente più soleggiato, un’ombra in basso a destra sulla carta. La tregua siglata fra la Grecia e gli altri governi europei due settimane fa ha arginato quella che stava per trasformarsi in una slavina rovinosa per tutti. Ma ieri da Cipro, deliberatamente, il presidente della Bce ha pronunciato poche battute che tradiscono nervosismo.Tutto il nervosismo di chi conosce davvero la situazione del Paese. Non capita spesso che Draghi critichi in pubblico un ministro dell’area euro. Ieri l’ha fatto e il bersaglio delle sue parole, mai nominato, era evidente a tutti: Yanis Varoufakis, il ministro delle Finanze greco, l’ultima rockstar della crisi dell’euro. «Se c’è una comunicazione che crea volatilità nel mercato – ha osservato Draghi, pesando ogni parola – ciò mina la solvibilità del sistema bancario greco». Il riferimento va al profluvio di dichiarazioni a effetto di Varoufakis, il solo ministro al mondo impegnato di continuo a sostenere che il proprio Paese è in uno stato irrimediabile di insolvenza.Fra l’area euro e una ripresa solida, oggi resta quasi solo la Grecia: va concluso il lavoro per stabilizzarla e portarla fuori pericolo. Ma fra la Grecia e quell’obiettivo rimangono problemi che la Banca centrale europea non vuole esser chiamata ancora una volta a risolvere, perché non fanno parte dei suoi compiti.L’equilibrio ad Atene è più fragile di quanto appaia dopo l’accordo di Bruxelles di due settimane fa. Varie fonti finanziarie greche, convergenti, indicano due ordini di problemi: le risorse nel Tesoro sono sul punto di finire forse già la prossima settimana; di conseguenza, per finanziarsi, Varoufakis sta ignorando e aggirando alcune delle regole di base che governano la Bce e l’intera zona euro.Nelle prossime tre settimane Atene deve rifinanziare o rimborsare 6,5 miliardi fra debito e interessi, ma le entrate fiscali calano, dunque a marzo il buco di cassa sarà di tre miliardi. Almeno per il momento, Varoufakis non ha i soldi per evitare un “default” imminente e si vede sbarrate molte delle possibili strade. Non può emettere obbligazioni a medio- lungo termine, perché gli interessi da pagare sarebbero proibitivi. Non può emettere titoli a brevissimo termine, facendoli comprare alle banche greche con liquidità presa in prestito da loro in Bce, perché la Grecia è già al tetto massimo consentito di 15 miliardi di euro: la Bce non vuole che Atene vada oltre, perché altrimenti l’Eurotower finirebbe per coprire il deficit del Paese con la moneta creata a Francoforte. Sarebbe finanziamento del disavanzo da parte della Banca centrale, l’ultimo tabù europeo. Ma Varoufakis per ora non può neppure farsi anticipare una rata di prestiti dagli altri governi europei, perché dovrebbe prima trovare un accordo dettagliato sulle riforme da affrontare in Grecia e poi dovrebbe (almeno) avviarle.Di qui la scelta di aggirare il divieto di finanziamento monetario del deficit. Lo Stato greco ha iniziato a estrarre denaro dalle banche commerciali, ma lo fa attraverso la porta sul retro. Non emette più titoli a breve termine per farli comprare dagli istituti con denaro prestato dalla Bce. Piuttosto, Varoufakis si fa prestare a scadenze di pochi giorni (ma rinnovate di continuo) i fondi che le imprese statali hanno depositato presso le banche commerciali. Queste ultime funzionano solo grazie ai prestiti di emergenza della Bce, che poi però affluiscono nelle casse del Tesoro greco attraverso quelle operazioni sui conti correnti delle aziende a controllo pubblico. In sostanza l’Eurotower, contro la sua volontà, senza che le sia stato detto, si trova a coprire il deficit del governo di Atene tramite i depositi bancari delle imprese pubbliche stornati al Tesoro. I soldi per rendere liquidi e pagabili quei depositi bancari vengono da Francoforte. Ma l’effetto sull’economia greca è devastante, perché le banche stanno tagliando i prestiti a tutto il settore privato per compensare quei deflussi di depositi verso lo Stato.«L’ultima cosa che si può dire, è che non stiamo sostenendo la Grecia», ha notato Draghi ieri. Il velo di sarcasmo dà la misura dell’irritazione: l’esposizione della Bce su Atene è salita in pochi mesi a 100 miliardi e si trasformerebbe in una colossale perdita nell’ipotesi (evitabile) che la Grecia davvero vada in “default”. Non è lo scenario più probabile. Ma se un messaggio arriva dalla Bce, è che ora tocca ai governi e alla politica rimuovere l’ultimo scoglio sul cammino della ripresa in Europa.