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 2015  marzo 06 Venerdì calendario

«Non sono un eroe né un modello da imitare. Lo dico subito: la gente non deve sparare in mio nome. Solo l’idea mi fa paura». Così, il benzinaio che ha ucciso il rapinatore con un colpo di fucile in Veneto chiede di non idolatrarlo: «Non voglio rassegnarmi alla legge della giungla, al terrore, che lavori e torni a casa guardandoti alle spalle»

Io sto con Stacchio (senza hashtag). Dentro il suo ufficio ordinato con vista sulle pompe di benzina e l’officina del servizio pneumatici. «Respiro gli attimi di quiete. Intanto metto in fila i pensieri». L’appuntamento con Graziano Stacchio è alle 15 e fuori c’è una pattuglia della Guardia di Finanza che «mi dà una mano». Dice: «Secondo lei ho i tratti del cow boy veneto?». Non sembra. Ma l’apparenza a volte inganna. «Sono allergico alla violenza, dono sangue da trent’anni, vado a caccia ma mai avuto il pallino delle armi».
Il benzinaio che lo scorso 3 febbraio con un colpo di fucile ha steso il rapinatore rom Albano Casson durante l’assalto alla gioielleria “Zancan”, eccola lì, a cinquanta metri, pesa le parole. Berretta grigia di lana e giubbotto antigelo con il cane a sei zampe, il marchio dell’azienda per la quale gli Stacchio di Ponte di Nanto prestano servizio da tre generazioni.
A che pensa?
«L’effetto mediatico mi ha stordito. Però davvero non possiamo vivere in un mondo che va in questa direzione. È storta. Non voglio rassegnarmi alla legge della giungla, al terrore, che lavori e torni a casa guardandoti alle spalle».
Lei ha sparato e ucciso un rapinatore. Per molti è un eroe.
«No, non sono un eroe né un modello da imitare. Né tanto meno un simbolo. Lo dico subito: la gente non deve sparare in mio nome, né in Veneto né in Sicilia. Solo l’idea mi fa paura. Non è che adesso ognuno si deve sentire autorizzato a sparare. Sennò che cosa facciamo, il Far West?».
A Oderzo l’altro giorno sono usciti coi fucili e hanno premuto il grilletto per un allarme ladri. Effetto Stacchio?
«Il problema è che la gente ha paura, sta perdendo la testa. Ci vuole un attimo. Il mio è stato un atto di istinto, di disperazione. Vorrei dire anche di umanità, perché quella ragazza (dentro la gioielleria, ndr ) era sotto scacco di cinque banditi armati di mitra. La volta prima era stata addirittura sequestrata. Quando quel rapinatore mi ha puntato l’arma addosso, ho mirato. Stando attento a non fare andare in giro colpi. Se i suoi complici l’avessero lasciato lì gli avrei messo subito un laccio emostatico, avrei provato a salvarlo. Ambulanza e via».
Lo avrebbe fatto davvero?
«Lo giuro sui miei figli e nipoti. La vita vale più di tutto. Sa quanti lacci ho messo qui davanti (indica lo stradone, via Riviera, che attraversa il paese)? Incidenti stradali. Uno aveva il femore fuori».
A chi la sta osannando forse importa di più che lei ha ucciso un rapinatore. Per di più immigrato. O no?
«Ho ricevuto molta solidarietà. Anche da immigrati. Africani, albanesi, gente per bene che abita qui ed è venuta a darmi una pacca sulla spalla. Poi ci si è messa di mezzo la politica».
La disturba?
«Se è solidarietà no, se sono chiacchiere dico: non servono a niente. Il problema sicurezza va affrontato con serietà, rigore, buon senso. Senza demagogia e isterismi. Sembra quasi, a volte, che i ladri siano nel giusto. Che facciano bene a comportarsi così. Forse in molti delinquenti passa questo messaggio: se i primi a rubare sono i politici, perché non dobbiamo farlo noi? I politici non spara- no? Noi sì... La società va cambiata, a partire dalle scuole. Basta bullismo, violenza, furbizia. Non portano niente di buono».
Non le chiedo se vota Lega perché non me lo direbbe. Ma Salvini l’ha eletta a eroe. E il 14 marzo a Vicenza lei sarà guest star della «Festa della sicurezza» (colore dei manifesti: verde e nero).
«La sicurezza è un tema che non ha colori. Dovrebbe essere di tutti, di destra di sinistra e di centro. Le persone che ho sentito più vicine sono quelle co- muni e gli alpini della mia associazione. Poi certo: se anche i politici mi esprimono solidarietà fa piacere. Solo della sinistra non si è fatto vivo nessuno».
Teme le conseguente penali di quello che ha fatto?
«Non so, forse no. Mi sento a posto in coscienza. È stato un gesto disperato di difesa e autodifesa, non di offesa. Non sono un tipo violento, lo sanno tutti. Anni fa, dopo la seconda rapina (ne ha subite tre), un maresciallo dei carabinieri mi ha consigliato di comprare una pistola. Ho preso una 38 special Sauer, tedesca. Dopo tre mesi l’ho venduta. Troppo pericolosa. Spari e il colpo va. Non ha la precisione di mira che ha il fucile. Vado a caccia, ho il porto d’armi da quando ero giovane. Ma delle armi non me ne frega niente».
Un messaggio a chi dice che bisogna farsi giustizia da soli?
«Capisco che la gente oggi è terrorizzata. È cambiato tutto. E il punto non sono i rom o gli immigrati. Io non ce l’ho con loro. Molte sono persone bravissime. Ma se devi chiuderti in casa con gli allarmi e i catenacci, se mentre lavori ti entrano col mitra, capisco che uno possa perdere la testa. Lo Stato deve potenziare i mezzi delle forze dell’ordine. A volte mi sembrano talmente scarsi da potere fare poco. E poi bisogna lavorare sulle scuole, sull’educazione. Alla pace, al rispetto. Lo dice uno che ha sparato, è vero. Ma non l’ho fatto per aggredire. L’ho fatto perché in quel momento ero minacciato di morte, e quella ragazza anche».
Che cosa le è dispiaciuto di più in questa vicenda?
«Che sia morta una persona. Se i suoi complici me lo avessero permesso avrei provato a salvarlo. Ma non hanno avuto rispetto nemmeno per la sua vita».