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 2015  marzo 06 Venerdì calendario

Nobile, ricca e di sinistra: «Starei sulle palle anche a me». Intervista a Beatrice Borromeo, la “compagna principessa”. «Ho fatto un documentario sulle donne della ’ndrangheta, i miei genitori hanno paura»

Arrivo nel locale in cui avevamo appuntamento per l’intervista e trovo Beatrice Borromeo che scruta il suo computer con un’aria decisamente allegra. «Una buona notizia. Vittorio Emanuele mi aveva fatto causa ma il giudice gli ha dato torto. Dice che il mio pezzo sull’omicidio di Dirk Hamer fornisce una nuova lettura del caso e ironizza sulle qualità umane e morali di Vittorio Emanuele. Una sentenza da manuale». Insomma, i Savoia me l’hanno messa di buon umore e io per un attimo mi sento meno repubblicana. Ma di ragioni per essere affabile Beatrice Borromeo in questo periodo ne ha più di una: oggi alle 21,00 debutta su Sky Tg24 il suo documentario «Lady ’Ndrangheta» sul ruolo delle donne all’interno dell’organizzazione criminale più feroce del mondo e, così si mormora, sarebbe in procinto di sposarsi con il suo fidanzato di sempre Pierre Casiraghi. È difficile non partire lancia in resta con una collezionista seriale di fortune sfacciate, blasoni pomposi, innegabili doti estetiche e contraddizioni radical chic. Eppure, la Borromeo, riuscirà a stupirmi.
Che c’entra Beatrice Borromeo con la ’ndrangheta?
«Ero a New York e stavo preparando la tesi del mio master in giornalismo sul traffico di droga attraverso una tratta fino a quel momento inedita, quella Sud America/New York/Italia. Mi capitava di leggere delle intercettazioni e rimanevo basita di fronte ad alcuni passaggi di conversazioni femminili in cui mogli, madri e figlie di boss della ’ndrangheta dicevano cose raccapriccianti. Cose tipo “Bisogna farlo fuori con la sega elettrica” o “Ammazza tuo padre”».
E ti è venuta voglia di intervistarle?
«Sì, perché parlai con il giudice Gratteri e mi spiegò che le donne nella ’ndrangheta ricoprono un ruolo fondamentale. Accade spesso che quando il marito finisce in galera, loro comincino a occuparsi della gestione economica dell’organizzazione e fungano da tramite tra il carcerato e gli altri criminali. Sono andata a cercare alcune di queste donne e le ho intervistate».
Qual è quella che ti ha impressionato di più?
«Maria Serraino, una vecchia signora di 84 anni che è stata tra le prime donne della ’ndrangheta a venire condannata all’ergastolo. Ha avuto dodici figli di cui sei morti ammazzati e ora è ai domiciliari perché ha un tumore. Sono andata a casa sua a Milano da sola, con il microfono nascosto. Quello che mi ha impressionato è che alternava frasi da fervente cattolica (“Dio mi aiuterà, io feci del bene al mondo!”) a frasi di una spietatezza assurda, tipo “Mia nipote anche se io l’ho allattata sta parlando troppo, c’è da dire che mi basta sennò qui mi tocca ammazzare tutti”. Tra l’altro sua nipote aveva parlato proprio con me su Il fatto, ma la signora per fortuna non ha fatto il collegamento».
Non hai paura?
«No. Ormai mi chiamano mafiosi o familiari di mafiosi per parlare, se vedessi la rubrica sul mio telefono è piena di numeri segnati come “mafioso 1”, “mafioso 2”, “mafioso 3”. E poi la ’ndrangheta è intelligente, ti fa fuori se le crei un danno economico, se sveli particolari su un loro traffico. Hanno più paura le donne che ho intervistato, alcune hanno provato a fermare la messa in onda della loro intervista, sono spaventate».
E i tuoi genitori non sono spaventati?
«Mio padre è letteralmente disperato. Anche mia madre è preoccupata, ma non hanno ragione di esserlo, sono prudente e non mi espongo a rischi stupidi».
Volevi fare la giornalista anche da piccola?
«Ero attratta dalle storie. Alle medie per andare a scuola prendevo il tram e guardavo la gente che saliva e scendeva. Scrissi il mio primo libro, Incontri, in cui immaginavo le loro vite. Scrivevo bene, mia sorella Lavinia mi chiamava “10 e lode”».
Da Incontri a Santoro direi che è stato un bel salto.
«Avevo diciannove anni, ho accettato perché ero cresciuta guardando Samarcanda e mi sembrava una bella opportunità ma non ero attratta dalla tv in quanto tale. Mi avevano già chiamata in tanti, anche Fazio, ma avevo sempre detto no. La verità è che non ero preparata, ero così giovane in un ruolo di responsabilità, i miei amici del liceo mi prendevano in giro dicendo che avrei dovuto avere il coraggio di dire a Santoro in diretta “Bella Micky, parla tu che è meglio!”. E poi Santoro mi metteva molta soggezione».
Sei parecchio litigiosa. Quest’estate hai discusso con un prete perché ha criticato il tuo gesto di regalare dei cuscini a un barbone. Cosa t’è saltato in mente di raccontarlo sui social? La Borromeo che difende i barboni è manna per i nemici dei radical chic.
«Lo so, mi è venuto d’ istinto, ma era ovvio che raccontato da me questo episodio sarebbe stato ridicolizzato. È che non mi capacitavo di come fosse possibile che un prete avesse così poca umanità».
C’è un barbone qui fuori, l’hai visto?
«Sì, Ben».
Lo conosci?
«Certo, però vedi, se ora ti dico di sì ti sembro poco credibile. Io amica dei barboni. Che poi non sono amica, ci parlo. Loro non sanno chi sia e mi trattano perfino con diffidenza. Una volta ho portato una birra a Ben e lui s’è rifiutato di berla perché gliel’avevo aperta, mi diceva “Chissà cosa potresti averci messo dentro!”».
La gente farebbe meno fatica ad accettare l’idea che una Borromeo avveleni un barbone piuttosto che diventi sua amica, comunque mi pare di intuire che i pregiudizi ti facciano patire. Onesta: cosa penseresti di Beatrice Borromeo se fossi una qualunque Maria Rossi?
«Mi starei molto sulle palle, questo è sicuro. È chiaro che nella mia vita esistono delle contraddizioni, che c’è contrasto tra la mia vita lavorativa e la mia vita familiare e quella del mio compagno. Chi mi critica ha le sue ragioni, posso non avere credibilità agli occhi di molti, ma alla fine sono più normale di quanto sembri».
Esci dalla redazione de Il Fatto e sali sullo yacht, la normalità non è esattamente questa.
«La realtà alterata, lo yacht, sono molto fotografati, così come le situazioni formali in cui accompagno Pierre, perché sono la sua compagna ed è giusto che sia al suo fianco. Ma poi c’è un’altra realtà che nessuno racconta. Io non esco mai, sono sempre a casa, la sera ceno, guardo un film e vado a dormire. Se non c’è Pierre, al massimo mi tengono compagnia le mie amiche. E vivo a Milano, non a Montecarlo».
Torniamo alle tue esternazioni sui social. Per difendere la Madia dalle famose foto col gelato e in risposta alla Pascale che aveva detto «Chiamavate anche me Signora del calippo», hai scritto «Ma lei non fingeva che fosse un pisello!». Un linguaggio poco nobile…
«Perché, “pisello” è una parolaccia? Mi vengono in mente parecchi sinonimi ben peggiori di pisello, se vuoi te li dico».
Li immagino. Hai litigato anche con Il Fatto per un loro pezzo su Lapo Elkann e l’ultima vicenda del video-ricatto. Ha scritto su fb che eri delusa dal tuo giornale.
«Sì, era un pezzo cattivo e aggressivo, ma non volevo attaccare il lavoro di persone che rispetto e a cui voglio bene. Mi dispiaceva che non si fosse tenuto conto di quello che aveva raccontato Lapo della sua infanzia, delle violenze subite. Lapo è una persona incapace di fare del male, io e lui abbiamo un rapporto molto stretto. Alla fine comunque lui e Padellaro si sono sentiti e chiariti».
A chi hai dato il tuo primo voto?
«Italia dei valori. Di Pietro è un pasticcione ma è stato un ottimo ministro».
Un voto di cui ti sei pentita.
«Quello a Ingroia».
Hai votato Renzi?
«No. Renzi ha la berlusconite, è allergico al confronto e al dissenso. Non lo voterei perché puzza di autoritarismo come Grillo e io preferisco dare un voto magari modesto che un voto a gente che mi fa paura».
Dell’ascesa di Salvini che ne pensi?
«Penso che spari su gente disperata, che non abbia umanità. È banale e sfigato».
Ti piacciono le donne del governo Renzi?
«Mi provochi?».
Perché?
«Dai! Perché è un paese in cui si dà la possibilità alla gente di imparare a fare il ministro strada facendo. La Boschi fino al giorno prima era un avvocato in erba. La politica di Renzi è tutta strumentale alla sua comunicazione, “più quote rosa!”, “più giovani in politica!” e poi quando c’è da fare scelte importanti non ha coraggio. È entrato da Napolitano per proporre Gratteri, un nome serio, importante, come ministro della Giustizia ed è uscito con il nome di Orlando».
È vero che ti sposi? (infila il naso nella tazza per nascondere l’imbarazzo)
 «Dai, odio queste domande. Quando leggo le risposte a queste domande in interviste ad altri mi chiedo sempre “Perché lo fa?”».
Beh Dagospia ha detto che i Grimaldi vorrebbero che ti licenziassi da Il fatto prima del matrimonio perché è un giornale comunista, almeno questo è vero?
«Ma va. Pierre ha commentato così: “Per favore non ti licenziare che poi mi ti devo sorbire io per tutto il tempo!”».
Dimmi almeno perché se sei così semplice come dici e odi i pregiudizi che arrivano dal tuo blasone non ti sei messa con un impiegato del catasto ma con Pierre Casiraghi. Perché uno dovrebbe crederti?
«Perché se uno lo conoscesse capirebbe quanto è figo Pierre. È un ragazzo intelligente, senza maschere e pieno d’umanità, il resto è solo un contorno».
Un contorno mica tanto, la vostra sarà una vita fiabesca.
«Non conosci Pierre. Non è uno da hotel a 5 stelle e non perché non possa, ovviamente, ma perché non gli va. A Capodanno mi ha portata in tenda nel deserto marocchino. Mai avuto tanto freddo in vita mia».
State insieme da sette anni. Qual è il collante?
«L’onestà, il rigore. E il rispetto. Vogliamo entrambi che l’altro diventi la parte migliore di sé. Lui è la persona migliore che io abbia mai conosciuto. Io grazie a Pierre sono migliorata tanto».
In cosa?
«Nel carattere, sono più obiettiva. Ma è difficile dopo tanti anni insieme capire cosa ho raggiunto da sola e cosa è arrivato grazie a lui, a quello che mi ha regalato».
Dichiarazione d’amore mica da poco. E vedo due anelli al tuo dito.
«Uno me l’ha regalato per il primo anniversario, l’altro per l’ultimo. Ma Pierre non è partito con i regali importanti, anzi. Mi ricordo che stavamo insieme da pochissimo e io per Natale avevo cucinato per lui e i nostri amici, oltre a fargli dei regali bellissimi. Lui aveva scoperto da poco sotto casa uno di quei negozi cinesi “tutto a un euro” per cui visto che in quel periodo avevo paura di volare, il suo regalo di Natale fu un aereo di carta dai cinesi col bigliettino “Intanto gioca con questo così ti passa la paura!”».
Cosa vuoi fare da grande?
«Ora lo so. I documentari. Non andrò mai via da Il Fatto finché mi vorranno, ma sentivo che la scrittura non mi bastava, che mi mancava qualcosa. Io nella saletta di montaggio mi sento felice, in un luogo che mi appartiene. Preferisco star lì fino alle quattro del mattino che in vacanza a Formentera».