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 2015  marzo 06 Venerdì calendario

«I miei quarant’anni con Rimmel. Ora vi spiego i miei testi». Francesco De Gregori ricorda come nacque l’album diventato una perla della musica italiana. E a settembre ricanterà tutti i brani del disco all’Arena di Verona: «Non sarà una celebrazione, termine che non mi piace. Però festeggiare un compleanno non mi sembra sbagliato»

Adesso viene voglia di riprendere il disco, metterlo sul piatto dello stereo e ascoltarlo dalla prima all’ultima canzone. E anche se non ci saranno i graffi del passato sul vinile a far gracchiare il suono, qualcosa del genere succederà il 22 settembre all’Arena di Verona. Perché a 40 anni dalla pubblicazione di un album che ha fatto storia, Francesco De Gregori rimetterà insieme i novi brani di Rimmel e per la prima volta nella sua carriera li eseguirà tutti dal vivo.
Ce ne ha messo di tempo.
«È vero, ma non sarà una celebrazione, termine che non mi piace. Però festeggiare un compleanno non mi sembra sbagliato. E poi mi consente di suonare queste canzoni che mi sono portato appresso nel corso del tempo. Se la memoria non mi inganna, in nessun concerto le ho fatte tutte insieme. “Piano bar”, ad esempio, non credo di averla mai proposta dal vivo. Così come pure “Piccola mela”. L’idea mi diverte, ma non sarà niente comunque che assomiglierà a una torta con 40 candeline portata sul palco».
Farà festa da solo in questo «Rimmel2015»?
«Assolutamente no. Con me ci saranno Elisa, Malika Ayane, Caparezza, Fedez e Ambrogio Sparagna. Per il momento...».
In passato era considerato un artista dal carattere un po’ spigoloso: si è accorto che è cambiato?
«Certo. Se dovessi sforzarmi di capire come, quando e perché, direi durante il tour che ho fatto con Dalla nel 2010. Perché l’ho visto vivere con tale leggerezza il suo amore per la musica, che mi sono detto: “Se lo fa lui, allora lo posso fare anch’io”. Lucio sembrava che si fosse liberato di tutto l’apparato che circonda un cantante. Era uno che viveva con grande divertimento il proprio ruolo e si dava agli altri con generosità. Così ho capito che si può fare questo mestiere con levità».
Allora approfittiamo di questa sua disponibilità: le va di fare un gioco?
«Quale?».
Visto che sulle canzoni di «Rimmel» circolano da sempre interpretazioni tra le più bizzarre, perché una volta per tutte non le spiega lei?
«D’accordo, ma con una premessa: le canzoni sono fatte di chiaroscuri, consentono di dire e non dire, di lasciare immaginare. Nel momento in cui le vado a spiegare si impoveriscono, si liofilizzano. Detto questo, sono pronto».
Chi è «l’uomo che cammina sui pezzi di vetro»?
«Passeggiavo con la mia fidanzata di allora in piazza Navona. Tra i tanti artisti di strada c’era uno che mangiava il fuoco e camminava sui cocci di bottiglia a piedi nudi. Ad un certo punto la mia ragazza disse: “Però, che bel ragazzo che è quello”. Finisce qua la storia, fu semplicemente un momento di leggera toccatina di gelosia. Da lì nacque l’incipit di una canzone autobiografica».
Si sa che «Il signor Hood» è dedicata a Marco Pannella.
«Sì, ma con autonomia. Ho molto amato Pannella per certe cose. È integro, nobile, ma di lui non condivido tutto. E anche allora la pensavo così».
«Pablo» racconta la morte di un emigrante.
«Ma è una storia immaginata. L’invenzione della canzone era di mettere una di fronte all’altra due persone spaesate, una italiana e una spagnola che stanno in Svizzera e che si confrontano sul benessere economico raggiunto, ma pure sul senso di precarietà, sul rischio della vita, come poi succede allo spagnolo che cade per caso, che si suppone precipiti da una impalcatura».
Dicono che «Buonanotte fiorellino» l’abbia scritta per ricordare una fidanzata morta in un incidente.
«Vorrei trovare un giorno colui che ha originato questa storia e da dove nasce l’equivoco. È un omaggio a Dylan, perché io sono dylaniano e dilaniato».
E «Quattro cani»?
«Nessun riferimento né a Patty Pravo né ad altre persone. Sono solo quattro cani, che se li incontri per strada realmente si nota che hanno caratteri diversi: c’è quello che annusa, quello che scappa, quello intimidito, e magari c’è la cagna che fa il capobranco. Adoro i cani e il brano esprime il mio amore per gli animali. Punto».
«Piano bar»...
«Non è dedicata a Venditti. Al bar di un albergo c’era uno che suonava il piano e mi misi a pensare: lui suona il pianoforte meglio di me; a lui lo pagano, a me ancora no; però io canto quello che mi va, lui magari fa le canzoni che non gli va di suonare... Tutto qui».
Per «Piccola mela» non c’è mai stata nessuna interpretazione fantasiosa.
«Il testo è di una canzone popolare sarda, la musica è mia. Feci un innesto. Mi affascinava questa operazione e dissi: adesso rubo. Io ho sempre rubato da tutti, non solo da Dylan. Picasso diceva: bisogna rubare, non imitare».
Resta «Rimmel», storia di un amore finito: chi è quello mollato tra i due?
«Bisogna mettersi nei panni di uno che aveva 23-24 anni. La vita sentimentale di un ragazzo a quell’età è quanto mai gioiosa, piena di domande e risposte. Adesso chiedersi chi ha lasciato chi è difficile. Posso dire diplomaticamente che non ha importanza. Ma in quella canzone non c’è una sola figura femminile. Può essere difficile da credere, ma è un insieme di situazioni, di storie, di sentimenti, di smarrimenti».
Già, forse è meglio che le emozioni di una canzone restino in penombra, «fra le pagine chiare e le pagine scure».