Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 06 Venerdì calendario

«Difendere l’aula è il primo dovere di un presidente della Camera. Il Parlamento è il cuore della democrazia». Così Laura Boldrini liquida le polemiche con Renzi

Laura Boldrini è appena uscita dal convegno su “Donne, parole e immagini” e sta entrando nella riunione dell’ufficio di presidenza. In un corridoio le passano un foglietto con le parole di Matteo Renzi su di lei. Non ne vorrebbe parlare, è una polemica che non le piace, ma siccome quest’intervista era stata concordata da tempo, non si tira indietro. 
Presidente Boldrini, il premier dice che lei è uscita dal «perimetro istituzionale». È un’accusa forte.
«Guardi, ritenere opportuno che vengano tenuti in considerazione i pareri delle Commissioni, così come che si limiti all’essenziale la decretazione d’urgenza, non significa affatto uscire dal mio perimetro istituzionale. Al contrario, difendere le prerogative del Parlamento è il primo dovere di un presidente della Camera. In ogni caso non intendo alimentare ulteriori polemiche, anche se ritengo fisiologico che ci possa essere una certa dialettica tra istituzioni, soprattutto su questi temi». 
Scusi, presidente, ma evidentemente c’è di più. Dentro il Pd già qualcuno aveva avanzato l’ipotesi che dietro le polemiche «sull’uomo solo al comando», lei mirasse a un ruolo più politico. Una Tsipras italiana. Ieri Renzi l’ha detto in chiaro.
«Questo è il bello della democrazia. Ognuno interpreta come crede. Però io invito a non prescindere dalla realtà. E la mia realtà da presidente della Camera è già molto piena. Non facciamo voli pindarici». 
Da ambienti di governo filtra anche una certa irritazione verso le lungaggini dei lavori parlamentari. Il Parlamento è un ostacolo per questo Paese?
«No, il Parlamento è il cuore della democrazia. Ma per assolvere pienamente al suo ruolo il Parlamento deve essere in grado di arrivare alla decisione, cioè alla votazione, in tempi certi. Per questo, per restituire centralità al lavoro parlamentare con la Giunta competente abbiamo lavorato alla riforma del regolamento. La riforma ha l’obiettivo di dare tempi certi al governo per i suoi disegni di legge così da non far ricorso, se non in casi davvero necessari e urgenti, ai decreti. Al tempo stesso, però, questa riforma prevede che anche le opposizioni abbiano la facoltà di portare in Aula i loro provvedimenti. Si tratta di una riforma equilibrata che darebbe nuovo slancio al Parlamento. Il testo è pronto da luglio e si potrebbe portare in Aula anche subito se i gruppi ne chiedessero la calendarizzazione». 
Presidente, dietro certe affermazioni liquidatorie nei suoi confronti, come avviene nei confronti di tante parlamentari e ministre, che su “La Stampa” se ne sono lamentate, sente il cattivo odore del sessismo anche in politica?
«Il sessismo in questo Paese c’è e si fa sentire. Anche nel linguaggio, che non è cosa da poco, il linguaggio cambia come cambia la società. Ad esempio alla Camera, in questa legislatura, il 30% dei deputati sono donne, non era mai accaduto. Ho appena inviato una lettera d’indirizzo a deputati e deputate perché si utilizzi il genere femminile quando ci si riferisce a ruoli e cariche rivestiti da donne. Ho poi inviato un’altra lettera alla segretaria generale affinché nei resoconti si rispetti il genere. È bene che sia l’istituzione parlamentare a promuovere queste buone pratiche già in atto da anni in altri parlamenti europei. Non sono quisquilie semantiche. Al contrario, è un problema di fondo. Dietro la lingua c’è il riconoscimento della persona. Declinare le, professioni, le mansioni, i ruoli al femminile, significa accettare che anche una donna possa svolgere quelle attività.. Negarlo, vuole dire discriminare. Perciò adeguare il linguaggio alla realtà che cambia non è un tema ozioso; è uno dei tanti aspetti da affrontare della questione femminile in Italia». 
Di fronte a un problema femminile enorme, però, quello linguistico potrebbe apparire l’aspetto minore.
«In verità non è affatto così perché tutto si tiene. Se il linguaggio non restituisce il genere femminile, non riconosce neanche la strada che le donne hanno fatto, arrivando anche a ruoli di vertice. Seguendo la stessa logica finisce che il lavoro femminile sia sottopagato o che non vi sia pari accesso al mondo del lavoro. E una donna che non lavora non è autonoma ed è meno libera anche dalla violenza domestica». 
Lei stamani ha postato su Twitter la sua lettera ai deputati ed è stata inondata di insulti violentissimi. Meravigliata?
«Purtroppo no, ma non bisogna neanche sottovalutare i tanti apprezzamenti. Nei social network comunque vi è una forte componente di misoginia. Hanno fatto uno studio sui tweet discriminatori: su 1,8 milioni di tweet in 8 mesi, oltre 1 milione sono attacchi alle donne».