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 2015  marzo 06 Venerdì calendario

Il metano di Putin non piace più di tanto. L’export verso l’Ue è crollato del 13,8%. Se per il Cremlino trasformare il gas in arma della diplomazia sembrava una mossa vincente, ora rischia di diventare un boomerang

Vladimir Putin complimenta l’Italia come «partner privilegiato» e dice di non riuscire a ricordarsi un settore dove russi e italiani non cooperino, e ovviamente il primo a venirgli in mente è l’energia. Ma il gas, tormentone e terrore mediatico degli anni scorsi, sembra il grande assente della partita diplomatica in corso con Mosca. La paura che il Cremlino chiuda il rubinetto è sparita non solo perché è in arrivo la primavera, ma il consumo di metano russo in Europa è già diminuito visibilmente. Nel 2014 Gazprom ha toccato il minimo degli ultimi 20 anni, riducendo le esportazioni nei Paesi Ue del 13,8%. Per l’Italia il calo è ancora più significativo, 14,4% in meno. Per altri Paesi ancora più dipendenti in passato dal gas russo i numeri sono più alti: un quarto in meno per l’Austria, il 35% in meno per la Repubblica Ceca. 
Giù i consumi energetici
Il metano di Putin all’improvviso non sembra più cercato e desiderato da tutti. Gli unici ad aver aumentato, seppure di poco, gli acquisti di gas russo sono gli olandesi e i danesi. Colpa di un inverno mite, che ha richiesto meno consumi energetici. Ma soprattutto colpa della politica, della crisi ucraina. Mentre i partner europei di Gazprom cercavano di diversificare le forniture, Mosca a sua volta limitava al massimo l’erogazione di metano attraverso l’Ucraina (da dove lo riceve anche l’Italia). Per evitare che i Paesi europei rigirassero le loro riserve di gas a Kiev, tutelandola così dal ricatto energetico russo, Gazprom ha ridotto al minimo l’erogazione verso l’Austria, la Slovacchia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca, che riversavano il loro metano all’Ucraina. Nel quarto trimestre 2014 – i dati sono tutti del monopolio del gas russo – le forniture in questi Paesi sono crollate del 40-60% e in alcuni casi i russi sono stati perfino costretti a pagare penali agli acquirenti. 
Effetto boomerang
Trasformare il gas in arma della diplomazia sembrava una mossa vincente ma ora rischia di diventare un boomerang. Erano anni che la Russia cercava di disimpegnarsi dal transito ucraino, spostando il carico sui gasdotti nel Nord Europa e, in prospettiva, sul South Stream, progetto definitivamente abbandonato l’anno scorso. Ma il tentativo di lasciare a secco Kiev rischia di far perdere ai russi una quota di mercato importante. Il calo dei prezzi del petrolio (che servono da base per i contratti del gas) spinge gli acquirenti europei a ridurre al massimo i consumi in attesa di una revisione al ribasso del listino di Gazprom, che secondo il ministero dello Sviluppo economico russo potrebbe arrivare al 35%, riducendo le entrate del monopolio russo di 14 miliardi di dollari. E secondo il quotidiano «Kommersant» molti esperti prevedono il ritorno in Europa dei produttori di gas liquido, negli ultimi tempi attratti dal mercato asiatico dove i prezzi erano molto più alti.
La paura che i russi per ritorsione facciano congelare gli europei nelle loro case non pare più attuale. La «superpotenza energetica», teorizzata a Mosca per anni, è in difficoltà, e a Putin ieri è stato presentato il bilancio rivisto per il 2015 che prevede un prezzo del petrolio di 50 dollari al barile (invece di 96) e un cambio del rublo verso il dollaro a 61, invece di 38. Il deficit previsto è aumentato dallo 0,6% al 3,8%, l’inflazione più che raddoppiata al 12%, e sono in cantiere nuovi tagli di spesa pubblica.
Marchi occidentali in fuga
Dal settore bancario arrivano segnali di panico sull’indebitamento delle famiglie russe, e le catene commerciali occidentali annunciano una dietro l’altra la chiusura dei loro punti vendita russi. Mosca sta smettendo di essere il paradiso dei consumi, e questo spunta anche l’altra arma di Putin, lo scontento degli esportatori europei per le sanzioni e le controsanzioni grazie al quale sperava di rompere il fronte diplomatico dei 28.