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 2015  marzo 06 Venerdì calendario

L’allarme degli imprenditori italiani in Russia: «Con le sanzioni abbiamo perso il lavoro di anni». Renzi incontra i rappresentanti delle nostre aziende, che chiedono «discontinuità» rispetto alla nuova Guerra fredda

Rapporti economici quasi in caduta libera, con l’export italiano che è crollato nel mese di gennaio del 37 per cento. L’analisi più stringata è di Antonio Fallico, esperto economico che si occupa di queste cose da decenni: «Si è annullato in poco tempo il lavoro che le nostre imprese hanno fatto in tanti anni». Nel giorno della visita del presidente del Consiglio Matteo Renzi, gli imprenditori e i manager italiani che lavorano in Russia spiegano che la situazione è veramente seria, ma che non tutto è perduto. Come dice ancora Fallico, «i margini per ripartire ci sono».
Certo, le sanzioni europee e le contro-sanzioni russe che hanno colpito in buona parte settori nei quali l’Italia è molto presente (come l’agro-alimentare) rimangono in vigore. E potrebbero anche essere inasprite se le cose non andassero per il verso giusto; se l’accordo di Minsk continuasse a non essere applicato in pieno. «Ma i colloqui moscoviti del capo del governo italiano sono già un segnale molto positivo», spiega Aimone di Savoia-Aosta, capo della Pirelli Russia che ha nel Paese due stabilimenti produttivi.
Prima di vedere Vladimir Putin, Renzi ha voluto incontrare i rappresentanti delle aziende italiane per spiegare loro la strategia del governo, ma anche per capire come stiano realmente le cose. Dopo anni di continua crescita dell’interscambio, gli ultimi mesi hanno visto una inversione di rotta decisa. Anche gli investimenti di imprenditori in Russia, vale a dire aperture di fabbriche e negozi, sono scesi sensibilmente, vista la situazione generale.
I dati del 2014 indicano una caduta dell’interscambio del 17 per cento. Sono scese le nostre importazioni di gas e petrolio russo, a causa dell’inverno particolarmente mite e del calo dell’attività economica in Italia. E sono diminuite le esportazioni italiane. Complessivamente, però, il quadro rimane assai sbilanciato, visto che per le importazioni spendiamo quasi 36 miliardi di dollari e dal nostro export ne incassiamo 13.
«È assolutamente necessario dare al più presto segnali di discontinuità rispetto a questa nuova guerra fredda», è ancora l’opinione di Fallico. Il banchiere italiano cita stime dell’Italian Trade Agency (l’Ice), secondo i quali le esportazioni degli Stati Uniti verso la Russia sono salite del 23 per cento nei primi nove mesi dell’anno scorso. Dati del ministero dello Sviluppo Economico russo parlano di una crescita dell’interscambio con gli Stati Uniti del 6% per l’intero 2014. È’ cresciuto particolarmente l’import di prodotti americani: +12 per cento. Il presidente della Commissione esteri della Duma Aleksej Pushkov è convinto che gli Usa con questa storia «ci stiano facendo i soldi».
Parecchi imprenditori italiani non la pensano diversamente, magari anche perché vivono in Russia da decenni. Certamente per le nostre imprese è, in alcuni casi, un vero e proprio «bagno di sangue». Secondo i dati di Intesa San Paolo, nei settori colpiti dalle sanzioni il crollo su base annua è stato del 38 per cento. «E le sanzioni sono partite solo a settembre», precisa Fallico.
Di imprese italiane impegnate direttamente in Russia ce ne sono molte e lavorano in quasi tutti i settori. Indesit e Candy negli elettrodomestici; Cremonini e Ferrero nell’alimentare, poi Pirelli, Iveco, Marcegaglia e tanti altri. Finmeccanica produce aerei ed elicotteri con partner russi, Enel ha le centrali elettriche. L’Italia è il secondo partner commerciale in Europa e in Russia ci sono oltre 400 aziende rappresentate direttamente, oltre a sette banche.
Anche in piena crisi, la Russia non cancella i suoi programmi di investimenti in grandi opere che per i prossimi anni ammontano a 400 miliardi di euro. Le nostre imprese contavano di essere protagoniste di questi progetti che, tra l’altro, comprendono anche tutte le infrastrutture necessarie per i campionati del mondo di calcio, per ora confermati nel 2018. Il rischio concreto è che altri Paesi vadano a occupare tutte quelle posizioni lasciate libere dall’Italia.