Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 04 Mercoledì calendario

«L’errore è stato non aver pensato e pianificato il “dopo” Gheddafi. Ora servono idee, soldi e soldati. L’Italia ha le competenze diplomatiche e operative che le consentirebbero di guidare una missione internazionale. Ci manca però la credibilità politica internazionale, qualità che non si guadagna con le chiacchiere né con i milioni di baionette» Lo dice Fabio Mini, ex generale Nato

   Non è Putin, ma sono le fazioni libiche l’ostacolo all’intervento internazionale. Fabio Mini, ex generale Nato, torna sulla possibilità di risolvere con una missione a guida italiana la crisi nell’ex colonia.
   A Mosca si parlerà di Ucraina e Libia, magari per chiedere l’assenso a un intervento nel Consiglio di sicurezza Onu?
   Renzi ha un problema: lady Pesc è Federica Mogherini, perciò ogni suo passo potrebbe far ombra a lei e all’Ue. Ciò detto, è un buon momento per parlare con Putin perché ha bisogno di capire chi sta davvero dalla sua parte. Però a nessuno conviene mischiare la questione libica con quella ucraina: sul primo fronte Putin potrebbe anche non opporre resistenza, mentre Renzi sul Donbass non ha il potere di promettere nulla.
   La possibilità di una missione Onu non è definitivamente tramontata?
   L’opzione Onu rimane valida più come verifica degli accordi o come peacekeeping o peaceenforcing. Nel caso assai probabile della frammentazione della Libia, l’Onu potrebbe esser chiamato a garantire la legalità della banda vincente.
   Che contributo potrebbe offrire l’Italia?
   Il problema è decidere cosa fare della Libia, non tanto quanti soldati sia necessario portare, ma credo che nemmeno il governo italiano abbia una risposta. Oggi in Libia nessuno ha interesse a sollecitare un intervento esterno.
   Il nostro Paese avrebbe il pedigree giusto
   per fare da guida?
   L’Italia ha le competenze diplomatiche e operative che le consentirebbero di guidare una missione internazionale. Ci manca però la credibilità politica internazionale, qualità che non si guadagna con le chiacchiere né con i milioni di baionette. Poi una tale missione sarebbe soggetta a vincoli strettissimi nell’uso delle armi, nelle regole d’ingaggio e perfino nella scelta degli obiettivi. Ci mancano i soldi per sostenere la più impegnativa missione mai affrontata.
   Come si è arrivati fin qui?
   L’errore è stato non aver pensato e pianificato il “dopo” Gheddafi. Gli sceriffi hanno deciso che il criminale andava eliminato e della Libia interessava solo ciò che si poteva prendere a costo zero.
   In Siria e Iraq sono i curdi a combattere contro l’Isis; ci sono truppe cui appoggiarsi in Libia?
   Non ci sono truppe da armare, ma da disarmare. E la scelta di chi e quando autorizzare e sostenere è fondamentale perché sarà poi quello che vanterà il successo e che pretenderà di gestire il potere.
   L’ex premier Mahmoud Jibril sostiene che un intervento guidato da non musulmani agevolerebbe i jihadisti, che potrebbero bollarlo come una crociata. È perciò giusto lasciar fare all’Egitto?
   Jibril ha ragione, ma se l’alternativa è l’Egitto vuol dire che la scelta sul futuro della Libia è già stata fatta e non è né di stabilizzazione né di pacificazione. L’Egitto sostiene Tobruk perché Tripoli è controllata dai Fratelli musulmani che per il Cairo sono il male peggiore. Questo è il punto: ambivalenza e inaffidabilità sono i tratti distintivi di tutti gli interlocutori della crisi libica.