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 2015  marzo 04 Mercoledì calendario

Le costose riproduzioni dei nostri libri antichi. Per avere venti pagine uno studente che va all’Archivio di Stato di Venezia deve pagare 300 euro

Se per due caffè fatti pagare 7 euro in un bar di Milano arrivano i carabinieri a chieder conto al barista della esosità dell’importo, perché mai un archivio pubblico può impunemente chiedere 7 euro per la riproduzione digitale di una pagina
di un libro antico che appartiene a tutti i cittadini italiani e a tutti gli studiosi del mondo? Eppure così continua ad essere, nonostante gli appelli e le denunce, da mesi. Per colpa di una delle leggi più sbagliate, insulse e forse incostituzionali (articolo 9: «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica») varate negli ultimi anni. Quella che vieta tassativamente a chi studia un testo in una biblioteca o un archivio di riprendere questa o quella pagina con la propria macchina fotografica o il proprio telefono cellulare. Proibito. Poco male, se il servizio offerto dalle istituzioni pubbliche fosse efficiente ed economico. Il guaio è che i prezzi rasentano spesso lo strozzinaggio. Un solo esempio, le tariffe dell’Archivio di Stato di Venezia: «Riprese digitali b/n da originali (tratte dalla medesima unità archivistica), formato A4: euro 1,00 / formato A3: euro 2,00 / formato A2: euro 3,00. Riprese digitali a colori da originali: formato A4: euro 7,00 / formato A3: euro 10,00 / formato A2: euro 15,00». Sinceramente: una vergogna. Vi pare possibile che uno studente obbligato ad avere le riproduzioni di 20 pagine possa essere costretto a pagare 300 euro? O che un docente di codici medievali debba sborsarne 500 o più per una manciata di foto digitali che potrebbe fare lui stesso?
    Tra le recenti proteste merita una segnalazione la lettera aperta a Dario Franceschini di Brian J. Griffith, dottorando californiano: «È un sacrosanto dovere la tutela dei “beni culturali” al fine di preservare nel tempo il ricordo della storia. Ma quando noi ricercatori, specialmente stranieri come il sottoscritto, ci troviamo costretti a spendere grandi cifre per le riproduzioni delle nostre fonti, ecco che la conoscenza e lo studio della stessa storia d’Italia ne paga le conseguenze». «La prego», prosegue la lettera al ministro dei Beni culturali, «noi non intendiamo fare foto ai vostri archivi e biblioteche per “impadronirci” dei vostri “beni culturali”, ma solo perché, grazie alle foto avremo la possibilità di concentrarci sulle fonti documentarie per un tempo più lungo rispetto al breve periodo di soggiorno in Italia concesso dalle borse di studio». Toc toc, c’è qualcuno in ascolto?