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 2015  marzo 04 Mercoledì calendario

Lorenzo Da Ponte, il librettista di Mozart racconta storie di tenori capricciosi, di impresari truffatori e di come voleva portare l’Opera a New York. A quasi due secoli dalla morte, l’editore Viglongo ripubblica il suo pamphlet Storia incredibile, ma vera...

Torna alla ribalta, non solo teatrale ma anche libraria e tecnologica, la figura di Lorenzo Da Ponte, l’autore dei versi per la trilogia perfetta tra le opere di Mozart (Le nozze di FigaroDon GiovanniCosì fan tutte), ma librettista per molti altri musicisti, poeta alla corte di Vienna, impresario e avventuriero tra Europa e America a cavallo tra Sette e Ottocento. 
Da un lato l’editore Viglongo di Torino ripubblica ora, per la prima volta dal 1833, l’integrale sua Storia incredibile ma vera, iperbolico pamphlet stampato in quell’anno per rendere edotta la pubblica opinione di New York circa macchinazioni a suo danno nell’allestimento di spettacoli d’opera italiana. Dall’altro lato è in fase organizzativa il progetto Lorenzo Da Ponte, poeta del Villaggio Europa(nell’ambito del nuovo programma comunitario Europa Creativa) in cui hanno parte istituzioni accademiche o di formazione musicale, ad esempio il Conservatorio «Casella» dell’Aquila per l’Italia o l’Università di Monaco di Baviera per la Germania. Lo scopo è avviare una riconsiderazione critica del poeta e letterato, dando vita anche un documentario interattivo su apposita piattaforma informatica, ove collocare fonti e risultati d’indagine consultabili liberamente in rete. È anche ipotizzato un convegno a Vienna, cuore dell’attività dapontiana con le gemme delle opere mozartiane.

In attesa di una rivalutazione che provi a scindere il Da Ponte uomo di cultura dall’organizzatore avventuroso, in fondo rappresentanti il momento settecentesco e quello ottocentesco nella sua vita, la Storia incredibile ma vera offre uno spaccato sulle rivalità che hanno sempre caratterizzato l’opera italiana dietro le quinte.
La vis polemica
Non era documento ignoto agli studi, perché i moderni biografi dapontiani hanno finora consultato l’edizione originale, inattesa appendice dell’84enne alle proprieMemorie, il cui volume quinto era uscito nel 1830. Adesso però, con un necessario e dovizioso apparato di note esplicative in calce all’edizione moderna curata dall’esperto Lorenzo della Chà, tutti possono farsi un’idea (e magari anche la tara) della vis polemica che prese il combattivo e anziano Da Ponte specie riguardo ad alcuni nuclei della Storia.

Egli era attivo a New York come insegnante d’italiano e commerciante di libri italiani a Broadway, era anzi fiero di aver introdotto in tal modo la cultura del nostro Paese negli Stati Uniti. A questa voleva aggiungere però anche l’opera, il genere del quale aveva pratica non soltanto poetica: nulla di meglio, pertanto, che raccogliere fondi tra New York e Philadelphia per invitare una compagnia italiana capeggiata da Giacomo Montresor. Il «fund raising», come diremmo oggi, portò denari sufficienti a coprire le spese di viaggio di venti persone: Montresor arrivò con cinquantatré. L’iniziativa di Da Ponte era quindi già in rosso prima di cominciare, creando nuovi debiti a lui che, nel 1805, era dovuto fuggire dall’Europa anche per debiti non saldati. È pur vero che la compagnia, rappresentando in America le novità di Rossini, Bellini e Mercadante, otteneva lauti incassi; tuttavia questi erano inferiori alle uscite, alte anche per i consueti capricci nonché pretese all’interno della compagnia. Per ridurre il suo passivo, Da Ponte fu costretto a mettere all’asta un migliaio di volumi della libreria.
Tuttavia il momento eclatante fu un altro ancora, al di là dei litigi e dei rappacificamenti tra Da Ponte e Montresor, che nel frattempo si era pomposamente autonominato «Direttore dell’opera italiana negli Stati Uniti», sfilandone la gestione a Da Ponte. Questi aveva sempre perseguito l’idea di edificare un nuovo teatro a New York destinato alle rappresentazioni del melodramma italiano. A tale scopo mise in piedi un’altra sottoscrizione per finanziare il nuovo tempio operistico, l’«Italian Opera House», anche con la vendita dei palchi. Sta di fatto che l’organizzazione delle stagioni, con i relativi proventi, gli venne sfilata di mano da un imprenditore milanese, il Cavalier Rivafinoli, che reclutò a Parigi un’altra compagnia, tagliando così fuori pure Montresor. 
Una storia sfortunata
Fu per questo che Da Ponte, una volta data alle stampe in quel 1833 una prima Storia incredibile ma vera incentrata sulla querelle con Montresor, riprese la penna nel giro di pochi mesi per una seconda, eclatante parte d’invettive pubbliche contro Rivafinoli. A Da Ponte non fu nemmeno permesso di vendere in teatro i seimila libretti già stampati per le opere da rappresentare. In compenso neppure Rivafinoli ebbe fortuna: venne sostituito da altri impresari che a loro volta fallirono. Il teatro, che sorgeva nell’odierna zona di Tribeca, fu distrutto da un rogo già nel 1839 e non risorse più, cancellando il primo tentativo d’impiantare stabilmente l’opera italiana a New York. Un dispiacere che fu risparmiato a Da Ponte, morto l’anno prima.