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 2015  marzo 04 Mercoledì calendario

La sfida dei partiti personali, inventati da Berlusconi, proliferati con Fini, Bossi e i due Mattei. Il caso Tosi e l’affaire De Luca

Avevamo dovuto fare il callo – senza mai rassegnarci – ai partiti personali, proliferati a più non posso nell’ultimo ventennio.
Il modello inventato con Forza Italia da Berlusconi, che rimane il detentore del copyright, s’è diffuso, infatti, non solo nel suo campo, ma anche in quello degli avversari, eredi a loro dispetto della tradizione dei grandi partiti novecenteschi tramontati con la fine della Prima Repubblica. Così, dopo il Cavaliere, Fini e Bossi (quest’ultimo con una sua particolare versione, più simile a una satrapia, con cui aveva forgiato la Lega delle origini), anche il centro e la sinistra si erano adeguate al sistema del leaderismo, dei «partiti liquidi», dei candidati scelti dal popolo con le primarie, per arrivare, appunto, ai tempi correnti, in cui l’orizzonte politico s’è ridotto alla disfida dei due Mattei.
Ciò che invece non si poteva immaginare – e vale la pena osservare da vicino – è la trasformazione del modello appena descritto nella declinazione locale dei partiti di Flavio Tosi, sindaco di Verona, in Veneto, e di Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno, in Campania. L’uno e l’altro hanno sfidato i rispettivi partiti e leader nazionali partendo dalla condizione di primi cittadini, che sanno cara a Renzi. A Salvini, che ha reagito durissimamente, dandogli una settimana per decidere se restare nella Lega o uscirne, Tosi ha posto due questioni: le alleanze e le liste civiche. Non è possibile, ha attaccato dopo la manifestazione del 28 febbraio a Roma, che il Carroccio si allei con i neofascisti di Casa Pound e tolleri i saluti romani di gente che va al corteo con i ritratti di Mussolini.
Nell’anno del settantesimo anniversario della Liberazione e del settantaduesimo della fine del regime fascista, non era affatto un’obiezione sbagliata, e Tosi, va detto, non è stato il solo a porla, anche se nel suo partito è rimasto uno dei pochi a sollevarla. Peccato che giusto la lista che porta il suo nome, grazie alla quale era stato eletto sindaco, sia stata infarcita dallo stesso Tosi di fascisti pentiti, vecchi arnesi missini, ex skin-head, nostalgici di Erik Priebke e della Decima Mas, giovani del Fronte della Gioventù, oltre all’immancabile Casa Pound. Insomma da che pulpito viene la predica. Né è nuovo anche l’altro problema posto dal sindaco ribelle: il diritto per i tosiani di presentare liste civiche da affiancare a quelle del centrodestra – o della sola Lega, ancora non si sa – che in Veneto si batteranno per la riconferma del governatore Zaia. La lista civica infatti è lo strumento migliore per conquistare la golden-share di una maggioranza e renderla condizionata: Salvini e Zaia in sostanza, se accettassero di avere Tosi, non come compagno di partito, ma come una specie di alleato esterno che mette a disposizione i suoi voti, dovrebbero fare i conti con lui e i suoi consiglieri per ogni decisione da prendere. Di qui le maniere forti adoperate dal vertice leghista nei suoi confronti.
Ma anche De Luca, dopo la vittoria plebiscitaria di domenica, s’è messo a dettare condizioni a Renzi. Per prima cosa ha chiesto (e il premier glielo ha negato) di modificare, o addirittura cancellare, la legge anticorruzione che porta il nome dell’ex-ministra Severino, perché nel caso in cui conquistasse la guida della Campania il sindaco di Salerno non potrebbe sedersi sulla poltrona di governatore in quanto condannato, seppure in primo grado, per abuso d’ufficio. De Luca nega, ma questo è solo uno dei suoi punti di contatto con Berlusconi, da cui il vincitore delle primarie campane, nato politicamente nel Pci, ha via via copiato quasi tutto. A riprova, eccolo, subito dopo la vittoria, ringraziare gli elettori di centrodestra che lo hanno votato «cambiando idea»; e poi annunciare che farà diverse liste a suo nome proprio per venire incontro a cittadini di tutte le tendenze, sinistra, centro e destra. Eccolo preparare una campagna elettorale stile «legge e ordine», in linea con la sua vocazione di «sindaco sceriffo»; e ancora, annunciare il rilancio di opere pubbliche grandiose, come il mausoleo in corso di edificazione in riva al mare di Salerno, nel quale, si vocifera, proprio come Berlusconi ad Arcore, vorrebbe che tra mille anni, quando sarà il momento, fossero custodite le sue ceneri.
Si sa: la lotta politica è diventata così dura da non risparmiare colpi bassi, mosse scorrette, veleni e tradimenti. Ma qui la radiografia dei due partiti personali e locali che cercheranno di contendersi, a Nord e a Sud, le due regioni chiave di questa tornata elettorale, rivela che la loro regola è una sola: fare qualsiasi cosa a qualunque costo pur di impadronirsi del potere; non perdersi in chiacchiere, non andare per il sottile; i voti si contano, si pesano, non hanno odore e non conta la provenienza. Questo farebbe di De Luca un perfetto candidato di centro-destra, se non fosse che Berlusconi in Campania ricandida un uomo di sinistra, il socialista Caldoro. E farà di Tosi, se davvero deciderà di candidarsi, con e contro il centrodestra, un sicuro alleato del centrosinistra, perché una destra divisa, malgrado la popolarità di cui gode Zaia in Veneto, avrà più difficoltà a rieleggere il governatore.
E dire che c’è tuttora qualcuno che si chiede perché a ogni passaggio elettorale aumenti l’astensione. La spiegazione più semplice, più a portata di mano, sta in questa forma di trasformismo locale in cui tutto e tutti si confondono. Ma anche di questo, ormai è inutile parlare: perché adesso, tanto, ognuno pensa a raccogliere i suoi voti; e quelli che non vanno a votare sono sempre gli elettori degli altri.